«Per ora pensiamo solo a divertirci»

Il calcio per integrare i profughi Un club svedese dall'anima italiana

Il calcio per integrare i profughi Un club svedese dall'anima italiana
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La squadra di calcio si chiama Young Boys, ma non c'è bisogno di consultare l'almanacco del calcio svizzero per avere delle informazioni, perchè il campo di allenamento non è a Berna, bensì a Orrefors, 719 anime, frazione di Nybro, 430 chilometri a sud della capitale svedese Stoccolma.L'ideatore ed allenatore della formazione è italiano, ha 16 anni, mentre la squadra è formata interamente da richiedenti asilo provenienti per lo più da Sudan e Siria.

 

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Da Milano alla Svezia. Daniele Guglielmin è arrivato in Svezia tre anni fa nel luogo in cui la sua famiglia da anni aveva una “stuga”, ovvero una classica abitazione estiva, partendo da Milano, dove era nato e cresciuto. Il profilo inizialmente è quello di tanti altri ragazzi della sua età: è appassionato di calcio, gioca con la squadra del paese, frequenta l'istituto Alberghiero (primo anno di ginnasio, in Svezia va dai 16 ai 19 anni). Poi l'illuminazione: «Un giorno stavo andando ad allenamento e per strada ho visto una trentina di persone che giocavano a calcio, ho immaginato fossero i profughi di stanza a Orrefors così sono andato a parlare con loro». Il momento non è casuale, perchè gli sbarchi ormai sono all'ordine del giorno e non è un mistero che le mete preferite dai migranti siano nel Nord Europa, dove il processo di integrazione avviene più facilmente rispetto all'Italia. Stesso discorso vale per chi arriva da Est attraverso i Balcani e l'Ungheria, dove il governo ha pianificato la costruzione di un muro al confine con la Serbia.

I profughi in Svezia. Statistiche alla mano, nel dicembre 2014 erano presenti in Svezia 142mila rifugiati e 56mila richiedenti asilo e 27mila persone prive di cittadinanza. I numeri sono destinati ad aumentare, creando anche sacche di malcontento nella popolazione locale, tanto che il partito di ispirazione nazional-populista, gli Sverigedemokraterna, si gioca con Socialdemocratici e Moderati il ruolo di primo gruppo del Paese. Tornando a richiedenti asilo ed apolidi, le due categorie vengono spesso dislocate in località remote, dove l'integrazione con la popolazione e le istituzioni non è sempre così facile.

 

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La nascita della squadra. Così, dall'idea, Daniele passa ai fatti: «Non ci è voluto molto, mi sono avvicinato a loro e qualcuno parlava in inglese, gli ho proposto se avevano voglia di formare una squadra e sono stati subito entusiasti. In Svezia dicono Lätt som vatten, facile come bere un bicchiere d'acqua». La squadra inizia ad allenarsi, ma la stagione sportiva, in Svezia, è già in fase inoltrata quindi, per ora, rimane un passatempo: «Stiamo cercando di iscriverci al prossimo campionato, che inizierà in primavera, per ora giochiamo fra di noi e ci divertiamo». Ma chi è l'allenatore? Non sarai mica da solo? «Si, faccio tutto io. Con i ragazzi ci arrangiamo in inglese e traduco loro i concetti in svedese, ma sto imparando anche qualcosa in arabo».

«Hanno bisogno di qualcosa da fare». Certo il passaggio da una realtà ad un'altra non è facile, ma Daniele, arrivato in Svezia a 13 anni, non ha avuto problemi particolari: «Parte della mia famiglia è svedese, sono andato subito a scuola e ho iniziato a giocare a calcio. Così l'integrazione è stata semplice». E per i ragazzi siriani e sudanesi, provenienti da un mondo così lontano dal nostro? «Sono contenti, trovano che la Svezia sia un posto tranquillo e sereno, hanno solo bisogno di qualcosa da fare mentre sono in attesa di ottenere una risposta per la richiesta d'asilo, dopodichè potranno studiare o lavorare».

L'interesse di giornali e tv. La storia non è passata inosservata, perchè prima dalla vicina Nybro sono arrivati gli aiuti logistici (magliette e materiale sportivo), poi i media svedesi hanno iniziato a raccontare la storia, tanto che perfino la tv di stato si è spostata fino a Orrefors per intervistare Daniele. «L'obiettivo è quello di favorire l'integrazione e permettere loro di imparare la lingua», dichiara il giovane, che si sta avventurando in un progetto che in altre parti della Svezia ha portato a risultati clamorosi. Non è raro, infatti, incontrare, nelle serie minori, squadre composte dalle varie comunità, come quelle siriane, curde o somale. Nella capitale è presente anche una squadra di italiani, ma il successo più lampante è stato ottenuto da Syrianska e Assyriska, due squadre di Södertälje, periferia di Stoccolma, che in tempi diversi hanno raggiunto la Serie A e ora militano in cadetteria. Non è questo, almeno per il momento, l'obiettivo dello Young Boys: «Per ora pensiamo solo a divertirci», conclude Guglielmin, «i ragazzi sono sempre in orario e sono felici di allenarsi in una squadra vera. Saremo pronti l'anno prossimo».

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