La leggendaria pietra

Il diamante della corona britannica che ora gli indiani vogliono indietro

Il diamante della corona britannica che ora gli indiani vogliono indietro
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Il favoloso diamante incastonato nella corona della regina Elisabetta (madre di Elisabetta II) è ora al centro di una controversia che potrebbe essere portata all’attenzione dell’Alta Corte britannica. Il Koh-i-Noor, questo il nome del gioiello, è stato donato alla regina Vittoria dall’ultimo sovrano dei Sickh, Duleep Singh, dopo l’annessione britannica del Punjab, avvenuta nel 1851. La regina Elisabetta lo fece poi incastonare nella corona che indossò nel 1937, in occasione dell’incoronazione del marito, Giorgio VI. Da allora, il diamante da 105 carati è diventato uno dei simboli della casa reale britannica.

Le rivendicazioni indiane. Per l’India il Koh-i-Noor, letteralmente “montagna di luce”, ha un valore sacrale e, per questo motivo, nel corso del secolo scorso Nuova Delhi ha chiesto più volte la restituzione della gemma, presentando le proprie istanze anche alle Nazioni Unite. Questa volta, a farsi portavoce della nazione indiana è il gruppo “Montagna di Luce” – dal nome del diamante -, composto da star di Bollywood e da uomini d’affari. L’attrice Bhumicka Singh, una sostenitrice del movimento, ha dichiarato: «Il The Koh-i-Noor non è soltanto una pietra da 105 carati, ma fa parte della nostra storia e cultura e dovrebbe essere senza dubbio restituito». David de Souza, del gruppo Tito, ha aggiunto: «Il Koh-i-Noor è uno dei molti artefatti che sono stati tolti all’India in circostanze incerte». De Souza, che sta cercando fondi per finanziare il movimento “Montagna di Luce”, ha affermato che la colonizzazione ha depredato la ricchezza dell’India e ha «distrutto la psiche del Paese».

 

 

Gli avvocati britannici assoldati dal movimento hanno inoltre dichiarato che baseranno il caso sull’Holocaust Act, il quale autorizza le istituzioni nazionali del Regno Unito a restituire opere d’arte o manufatti preziosi ai Paesi d’origine. L’avvocato Satish Jakhu, il cui nome suona ben poco inglese, ma che fa parte dello studio legale Rubric Lois King, ha infatti spiegato che ricorreranno alla legge del “trapasso di beni”, sostenendo che il governo ha rubato il diamante. Il caso potrebbe persino essere portato davanti alla Corte Internazionale di Giustizia.

Che dicono i sudditi di Sua Maestà. La Regina del Regno Unito è dunque accusata di possedere un monile sottratto proditoriamente all’India – in sostanza, di avere tra i suoi beni una pietra rubata del valore di 139 milioni di euro. Il momento non è certo il migliore, per accogliere a Buckingham Palace il primo ministro indiano, Narendra Modi, a Londra in questi giorni. Fonti reali hanno però fatto sapere che la questione del diamante non fa parte dell’agenda. I fedeli sudditi della Corona britannica, del resto, sono tutti schierati dalla parte della casa regnante.

 

 

Lo storico Andrew Roberts ha espresso in termini molto chiari il suo pensiero: «Coloro che sono coinvolti in questo caso ridicolo dovrebbero riconoscere che i gioielli della Corona britannica sono precisamente il luogo giusto per il Koh-i-Noor, come segno di gratitudine per gli oltre tre secoli di presenza inglese in India, che condussero alla modernizzazione, allo sviluppo, alla protezione, all’avanzamento agricolo, all’unificazione linguistica e, da ultimo, alla democratizzazione del subcontinente». In risposta a chi ha paragonato la controversia attuale con il caso dei marmi di Elgin, le antiche sculture del British Museum reclamate dalla Grecia, Roberts ha detto: «Il Regno Unito ha ancora più diritto a tenersi il Koh-i-Noor, acquisito in seguito a un trattato legalmente vincolante». Anche il primo ministro inglese, David Cameron, espresse un parere simile durante una visita in India, avvenuta nel 2013. In quell’occasione Cameron dichiarò che riconsegnare il Koh-i-Moor sarebbe stata una mossa «illogica».

L’avventurosa storia del Koh-i-Noor. Secondo una leggenda, il Koh-i-Noor può essere indossato solo da una divinità o da una donna, perché agli uomini porterebbe grande sfortuna. Come molte cose preziose e di gran valore, il diamante ha provocato sanguinarie battaglie per il suo possesso. Da quando fu scoperto nella miniera di Kollur (Stato di Andhra Pradesh), presumibilmente nel Trecento, il Koh-i-Noor è passato di dinastia in dinastia e da regno a regno. Dal 1304, è stato reclamato da India, Pakistan, Iran e persino dai sovrani dell’Afghanistan, che lo possedettero dalla metà del Settecento fino al 1810, quando l’ultimo re afghano, Shah Shujah Durrani, si rifugiò presso l’imperatore Sikh del Punjab, Ranjit Singh. Il re indiano pretese la cessione del diamante, ma riuscì ad ottenerlo solo dopo avere assediato il palazzo in cui risiedeva Shah Shujah.

 

 

Poi, con l’arrivo dei britannici, il Punjab firmò il trattato di Lahore, il quale dispose che il Koh-i-Noor dovesse essere presentato alla regina Vittoria dal re Dulip Singh, allora tredicenne. Il diamante fu quindi spedito in Inghilterra sulla nave Medea e arrivò a Londra nel 1850. Chi lo vide esposto durante l’Esposizione Universale di Londra, a Hyde Park, affermò tuttavia che la pietra era tagliata male ed era poco luminosa. La corte reale affidò dunque i lavori a uno dei gioiellieri di Mozes Coster, commerciante olandese di diamanti. Il taglio fu supervisionato dal principe Alberto in persona e costò ottomila sterline, ma il risultato ripagò ogni sforzo. Quando il giovane Dulip Singh esaminò il Koh-i-Noor, su invito della regina Vittoria, si definì fiero di avere lasciato la pietra nelle mani della sovrana.

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