Le lacrime dei padri dei terroristi
«Se lo avessi saputo lo avrei ucciso io prima». È duro il tono usato dal padre di Mohamed Fouad Aggad, identificato come terzo kamikaze della strage al teatro Bataclan di Parigi del 13 novembre scorso. Quella di Aggad è stata un’identificazione tardiva: l'esplosione del suo giubbotto aveva ridotto il suo corpo in brandelli, ed è stato possibile risalire a lui solo grazie a un sms ricevuto sul cellulare della madre dalla Siria. Suo figlio era morto negli attacchi di Parigi, «il 13 novembre con i suoi fratelli», diceva il messaggio. La donna si è quindi rivolta alla polizia, attivando indagini che hanno consentito di arrivare al nome del terrorista: Foued Mohamed-Aggad.
I dialoghi via skype. A quasi un mese da quei tragici fatti, è il padre del terrorista ad affidare al giornale francese Le Parisien tutto il suo dolore. Dice che conosceva la deriva jihadista del figlio ma non si sarebbe mai aspettato un gesto del genere. Via Skype, unico mezzo tramite cui i due si sentivano e vedevano, il figlio raccontava la sua jihad. Diceva che stava bene, ma non dove si trovasse né cosa stesse realmente facendo. Il padre non sapeva neppure che Mohamed era tornato dalla Siria, dove stava combattendo tra le fila dei miliziani al soldo del califfo Al Baghdadi. Mohamed era più legato alla madre, che lo contattava regolarmente per avere notizie: la donna gli avrebbe anche inviato dei soldi per lasciare il Paese di Assad, devastato dalla guerra. Con il padre i rapporti si erano deteriorati, fino a svanire da quattro o cinque mesi a questa parte. «Non era più lui, gli avevano fatto il lavaggio del cervello», dice. E aggiunge: «Che essere umano può fare quello che ha fatto lui?».
Padri distrutti. Come il signor Aggad c’è il signor Amimur, il signor Abaaoud. Sono padri straziati dal dolore, increduli, arrabbiati, delusi. I loro figli si sono resi protagonisti dei più tragici fatti di cronaca degli ultimi mesi. Nel caso di Aggad, i figli affascinati dall’Isis sono stati due, perché insieme a Mohamed nel 2013 per la Siria a combattere partì anche il fratello Karim, oggi in carcere. «Ragazzi tranquilli», come dicono sempre i vicini di casa in queste circostanze, che si rivelano essere persone pericolose, seminatori di terrore. Storie simili di uomini arrivati in occidente anni fa, cresciuti lavorando e cercando di entrare nella società europea, con figli nati qui e ben integrati nel nuovo mondo. Che però, a un certo punto, iniziano a parlare sempre di meno, frequentano strani giri, si fanno crescere la barba. Fino a radicalizzare fino in fondo la loro fede e per abbracciare la strada del jihad.
Il padre di Amimour. Tra i terroristi di Parigi c’era anche Samy Amimour: pure lui è morto al Bataclan. Suo padre, Mohammed, a 67 anni era partito per la Siria nel giugno del 2014. Non per combattere, ma per andare a riprendersi il figlio, che dopo un addestramento in Belgio si era arruolato tra le fila dell’esercito del Califfo. Samy era un ex conducente dei bus parigini della Ratp. Si licenziò nel 2012 e venne messo sotto inchiesta per associazione a delinquere con fini di terrorismo. Violò la sua libertà vigilata e dal 2013 era oggetto di un mandato di cattura internazionale. Combatteva in Siria. Insieme alla madre, il padre lo pregava via Skype di tornare, ma tutto sembrava inutile. Così lo aveva raggiunto a Minbej, dopo un viaggio allucinante. Fermo alla frontiera turca sotto un sole cocente, aspettò una settimana prima di essere caricato su un minibus. Poi finalmente il viaggio partì: con lui donne, bambini, europei, russi, marocchini... Il mezzo dovette attraversare anche un campo pieno di mine antiuomo, diretto verso la base dell’Isis a 80 km a nord-est di Aleppo. Con sé aveva una lettera che sua moglie aveva scritto per il figlio Samy: «Torna a casa», lo pregava la madre. Nella busta anche 100 euro per affrontare qualche spesa, ma il figlio fu impassibile: rifiutò tutto, parlò col padre e lo congedò con freddezza. Samy tornerà in Francia solo un'altra volta, per fare il martire al Bataclan.
Il signor Abaaoud. C'è poi il papà di Abdelhamid Abaaoud: di punto in bianco si è trovato il nome del figlio stampato su tutti i giornali. È stato considerato la mente delle stragi di Parigi, ucciso poi nel blitz che nei giorni successivi la polizia ha compiuto a Saint Denis. «Sono disperato. La nostra famiglia deve tutto a questo Paese. Sono arrivato quarant’anni fa per lavorare nelle miniere, ma poi ho avuto successo: ho un negozio di vestiti e ne avevo comprato uno anche per mio figlio, che era diventato anche un buon commerciante. Stavamo bene, avevamo una vita fantastica. Ma di colpo Abdelhamid è partito per la Siria. Non ho mai capito come abbia potuto radicalizzarsi così all’improvviso». Il dolore è enorme per l'uomo, che ha visto partire per la Siria pure l'altro figlio, il 13enne Younes: il fratello voleva farlo diventare il più giovane jihadista del pianeta. Quello che il padre non si spiega è il motivo per cui Abdelhamid abbia deciso di architettare la strage di Parigi: «Avrebbe voluto che Abdelhamid fosse interrogato per capire perché è arrivato ad una tale deriva».