L'addio al calcio giocato

Papà Giancarlo ed altri nove ci raccontano Gianpaolo Bellini

Papà Giancarlo ed altri nove ci raccontano Gianpaolo Bellini
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Gianpaolo Bellini gioca la sua ultima partita a Bergamo con la maglia dell'Atalanta e tutta la città è pronta a salutare in grande stile il suo capitano. I ragazzi della Curva hanno annunciato una maestosa coreografia in suo onore, di cui ancora non si sa praticamente nulla. Nonostante da trent'anni vesta la maglia della Dea, del "Bello" non si sa molto. Riservato, educato e schivo ha sempre preferito far parlare il campo. E quindi in una giornata così emozionante e importante abbiamo chiesto a dieci persone che gli sono state vicine e che lo conoscono meglio di tutti, di raccontarci un po' di lui.

 

Giancarlo Bellini, il papà

bellini primavera

Il papà si chiama Giancarlo, vive a Sarnico, è in pensione ma continua a fare il medico. Nonostante si senta a disagio a parlare di suo figlio, ci ha regalato un ritratto stupendo di Gianpaolo e della sua famiglia. Che nasconde una curiosità: si chiamano tutti Gian qualcosa. Oltre a Gianpaolo, i figli del dottor Giancarlo si chiamano Gianmarco e Gianandrea, gli zii Gianpietro e Gianbattista. Una tradizione. Nel calcio però uno solo ha fatto la storia, perché il pallone non è in cima ai loro pensieri.

«Pensate, sono stato a Zingonia una sola volta da quando Gianpaolo gioca all’Atalanta. Ci andai non per parlare di calcio o di mio figlio ma per incontrare il professor Cobelli che lavorava all’Ospedale Maggiore ed era ortopedico dell’Atalanta. Doveva visitarmi, avevo avuto un trauma alla vertebra facendo sci d’acqua. Incontrai casualmente Favini, mi accolse con un sorriso e mi disse “Ohh, finalmente riesco a salutarla”. Non parlammo di calcio ma mi interessai di come Gianpaolo si comportava e viveva il suo impegno quotidiano all’Atalanta. Era mio dovere comunque salutare chi ogni giorno seguiva la crescita di mio figlio». Il racconto è coinvolgente. «Non ero diffidente in senso assoluto quando il maestro Bonifaccio venne a casa per propormi di portare mio figlio all’Atalanta, ma credo che sia normale ragionare bene sulle scelte dei più piccoli. Gianpaolo aveva 9 o 10 anni e il calcio, prima di quel giorno, era molto lontano dai miei interessi. Sono stato per 20 anni impegnato nella politica comunale e provinciale facendo il consigliere e l'assessore, e chiesi a personaggi come Galizzi, Borra e Ceruti cosa avrei dovuto fare: tutti mi rassicurarono sull’ambiente, mi dissero di stare tranquillo perché si parlava di una grande realtà. Indipendentemente dai risultati sportivi, l’Atalanta rappresenta qualcosa di sano e di sicuro per i ragazzi che vivono il settore giovanile. Mi convinsi e insieme a mia moglie decidemmo per il sì».

Quell’inizio nell’Atalanta è diventato una vita intera: Gianpaolo non ha mai cambiato maglia. «La scelta di restare sempre a Bergamo mi ha toccato, da vicino. Ricordo bene che lui venne e mi disse che c’era questa opportunità di andare a Roma o a Palermo. Gli risposi che la valutazione spettava a lui, ma io da papà non potevo che esprimergli ciò che mi veniva dal cuore: “Se resti a Bergamo, siamo tutti più tranquilli anche noi. A Bergamo ti vogliono bene tutti, se ti senti a tuo agio e gratificato, allora rimani”. È venuto fuori un po’ di patriottismo bergamasco, l’ho lasciato sempre tranquillo e lui è stato molto bravo a gestirsi. In campo e fuori, nelle scelte di ogni tipo. Compresa quella di non andare mai via».

Prima uomo che calciatore. «Per me, prima del calciatore, conta l’uomo. È una grande soddisfazione, lo dico con il cuore, così come dal cuore mi viene l’amarezza che la sua mamma non ci sia più e quindi non possa vedere e apprezzare quello che è diventato. Domenica sarò allo stadio e per me è una notizia. Dovete sapere che ogni tanto l’ho accontentato, sono stato a Bergamo a vederlo giocare anche perché quando arrivava a casa con i biglietti mi spiaceva dire di no. Quest’anno ho visto solo una gara dal vivo al Comunale. Con lui ho imparato ad andare allo stadio, ma sia io che mia moglie abbiamo sempre fatto molta fatica a seguire le partite: la paura che si facesse male prendeva il sopravvento. E nonostante avessi iniziato a seguire il calcio con lui, se la squadra non faceva risultato c’era un grande alone di tristezza in casa».

Uno che non tira indietro la gamba. «Lui si butta sempre in ogni contrasto, non si tira mai indietro. Ricordo una volta a Torino quando subì un gran colpo al torace, uscì dal campo tenendosi il petto e da medico capii subito che c’era qualcosa di grave: lo spavento fu grande. Fortunatamente lo operarono subito alle Molinette e non ci furono conseguenze, ma in generale, dopo ogni partita, chiedevo sempre se aveva giocato e si era fatto male. Si è spesso infortunato, anche se non gravemente, di acciacchi ne ha avuti».

L’ultima partita al Comunale. «Spero che vada tutto liscio, senza troppe emozioni anche se sarà una giornata particolare. In tutte le cose c’è un inizio e una fine, sarà un momento di grande festa e sarà bellissimo vedere il saluto della gente: saremo in tanti, parenti ed amici. Leggendo i giornali in questi giorni ho un po’ di magone perché ho capito che sarà un evento che coinvolgerà tutti quanti. Se segna? Sarebbe una grande cosa, ma significa che glielo lasciano fare (ride, ndr)».

La curiosità sul nome e i ringraziamenti. «Come mai ci chiamiamo tutti Gian? È una tradizione di famiglia che ho voluto mantenere: i miei figli si chiamano Gianmarco, Gianpaolo e Gianandrea, io sono Giancarlo e i miei fratelli si chiamano Gianpietro e Gianbattista. Capite bene che è quasi la normalità. Come è normale dire grazie a tutta la famiglia Atalanta, di tutti i tempi. Perché forse non l’ho fatto abbastanza in passato, eppure la sua crescita è figlia di un ambiente davvero stupendo che Gianpaolo ha vissuto per trent’anni».

 

Cristiano Doni, il bomber di tutti i tempi

Bellini e Doni

«Ho incontrato e reincontrato Bellini in diversi momenti della mia vita e della mia carriera. Il primo quando, da ragazzo, è uscito dal settore giovanile e l’amico fraterno Pinardi che si affacciava alla prima squadra. Siamo diversi, ma da subito abbiamo avuto un rapporto intenso, sia lui che Pinardi erano giocatori e ragazzi speciali. Sembravano quasi fratelli. Quando sono tornato a Bergamo la seconda volta, l’ho ritrovato molto cresciuto e con tutti i valori che conosciamo ancora più esaltati e migliorati. È sempre stato una pedina importante per la squadra, la sua crescita è stata costante e credo che il fatto che si sia arrivati all’epilogo stupisca di più chi osserva da fuori piuttosto che lui.

Quest’anno penso si sia preparato all'addio, smettere non è facile, ma sono convinto che lui non subirà grandi contraccolpi. In serie A ha segnato solo 5 gol, indimenticabili, ha sempre avuto quei colpi, ma purtroppo ci ha provato poco: la sassata di destro sotto la traversa a Parma non è stata una sorpresa per chi lo ha sempre visto in campo. Gli faccio i miei migliori auguri per il futuro, spero che domenica non si emozioni troppo: una carriera come la sua è irripetibile, soprattutto per una realtà come quella dell’Atalanta».

 

Bortolo Mutti, il mister che lo fece esordire

bortolo mutti

«Ricordo bene il ragazzo che si allenava con noi ed era appena salito dal settore giovanile: ha sempre avuto buone doti e si è meritato sul campo una carriera così importante. Decisi di buttarlo nella mischia contro il Verona e lui rispose molto bene. Sono contento perché ha fatto una grande carriera e altrettanto felice di essere stato l’allenatore che lo ha fatto esordire nel calcio che conta. Ha sempre lavorato con grande professionalità, domenica contro l’Udinese sarà una bellissima occasione per salutarlo e anche se non riuscirò ad essere allo stadio voglio augurargli il meglio per il futuro: non so cosa farà da grande, se il mister o il dirigente, ma certamente ha un notevole spessore morale e questo gli servirà tantissimo nella vita».

 

Mino Favini, il “papà” del settore giovanile

favini

«È un grande piacere parlare di Bellini, ha avuto uno splendido rapporto con tutti nel settore giovanile ed stato un esempio per i compagni, sempre al posto giusto nel momento giusto. Questa educazione arrivava dal papà: quando lo incontrai a Zingonia, voleva capire come si comportava il figlio e mi disse che il calcio non gli interessava e che per lui la cosa più improntante era il comportamento e l’educazione che dimostrava sui campi. Con tutti. È stato speciale e particolare sentirlo parlare così. Comunque Gianpaolo ha fatto grandi cose, non è un fuoriclasse, ma il suo spirito di sacrificio, la sua voglia di fare e di arrivare sono sempre state la garanzia che sarebbe prima o poi ce l'avrebbe fatta a sfondare. Adesso chiuderà e poi spero possa essere un esempio per tutti i giovani che indossano la maglia nerazzurra, glielo auguro di cuore».

 

Giacomo Randazzo, il primo direttore di Bellini

giacomo randazzo

«Sinceramente, non mi aspettavo che potesse restare sempre a Bergamo. Però pensando alla sua famiglia e ai suoi valori, non mi stupisce che sia rimasto all’Atalanta. È attaccato alla sua terra e alla sua gente, pensi che l’anno scorso lo chiamai per salutarlo e alla fine decise di continuare. È un grande uomo, non posso che parlarne bene. Ha sempre avuto buone qualità, ma arrivare a quota 281 partite in serie A è qualcosa di stratosferico, non me lo aspettavo perché parliamo veramente di una vita ai vertici. È stato bravo e assiduo nel lavoro, senza infortuni forse avrebbe fatto ancora meglio a poteva sfondare anche il muro delle 300 partite. Lo saluto e gli mando un grande abbraccio».

 

Claudio “Bocia” Galimberti, leader della Curva Nord

bocia

«Gianpaolo Bellini è la favola di tutti noi, il ragazzo che si è fatto da solo e a cui nessuno ha mai regalato nulla. Ho visto tantissimi giocatori indossare la nostra maglia, nessuno come lui. Calcisticamente parlando è nato con addosso la casacca dell’Atalanta e chiuderà avendo indossato sempre e soltanto i nostri colori. Qualcosa di unico, eccezionale e grandioso che va celebrato con il massimo degli onori, con un abbraccio stupendo e una coreografia memorabile che stiamo finendo di preparare. Abbiamo un rapporto che dura da una vita, lui in campo a giocare e io fuori a tifare. Quando ho ricevuto l’invito per il suo matrimonio, rimasi molto colpito perché quel giorno mi confidò che anche io, nella sua vita, sono stato importante. Da allora siamo stati uniti. Pensarci, a distanza di un paio d’anni, mi fa ancora emozionare. E non esserci, domenica, è ancora più dura. Ritirare la sua maglia? Non saprei, è una cosa da chiedere a lui, ma ripenso a quello che disse un grande campione come Del Piero: “perché ritirare la numero 10 quando potrebbe portarla con onore qualche altro giocatore? Per me non è da ritirare, conta la storia dell’Atalanta e non penso che rivedere o meno il numero 6 in campo sposti in qualche modo la valutazione sulla grandezza di Gianpaolo Bellini».

 

Riccardo Zampagna, l’opposto di Gianpaolo Bellini

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«Sono convinto che dovrebbe esserci un Gianpaolo Bellini in tutte le squadre del mondo. Ho sempre avuto un bel rapporto con lui, pur essendo molto diversi dal punto di vista caratteriale. E, sono sincero, credo che tante volte abbia chiuso gli occhi e sia passato sopra ai miei comportamenti, non al massimo per un professionista, perché poi sapeva che la domenica io rispondevo sempre presente e davo tutto per la maglia dell’Atalanta. Per i nuovi arrivati è sempre stato un esempio anche se io conoscevo ben prima di arrivare a Bergamo il significato dell’Atalanta. Rifiutai Monaco e Paris Saint Germain per la Dea. Ricordo un episodio particolare del mio rapporto con lui: stavamo tornando in serie A e bisognava andare da Ruggeri per discutere di un premio. Lui e Bernardini lo fecero molte volte senza ottenere nulla, io avevo un approccio molto diverso e un giorno dissi: “posso andarci io?” Detto, fatto: premio ottenuto, non era importante l’ammontare, ma il gesto. Mi ringraziarono tutti, compreso Gianpaolo».

 

Cristian Raimondi, il compagno di stanza

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«Se è pronto per smettere? Sicuramente un anno fa non lo era ma adesso - forse anche perché se ne parla da mesi - che anche lui ha metabolizzato che sarebbe stato l’ultimo anno, la situazione è molto diversa. Si è preparato e si giocherà questa ultima partita con grande emozione: conoscendo Paolo, gli sarà dura gestire le emozioni, ma parliamo di un evento talmente bello e speciale che forse, questa volta, se la godrà fino in fondo. Sono convinto che la famiglia che si è costruito in questi ultimi 2-3 anni con la moglie Cristina e i due piccoli Federico e Luca sarà importantissima per il futuro. A Bergamo non ha mai fatto gol in serie A, ma secondo me se domenica ci fosse un calcio di rigore andrebbe fatto calciare a lui, poi magari non se la sentirà, ma questa è un’altra storia».

 

Giulio Migliaccio, il marcatore del gol più difficile

Frosinone-Atalanta

«Ricordo quella serata a Cremona come se fosse ieri. Giocammo di venerdì, era un derby e la partita si chiuse con la nostra vittoria per 1-0, segnai proprio io che ero entrato da pochissimi minuti. Gianpaolo era in campo, la mamma era scomparsa da pochissimi giorni e lui stava vivendo un momento molto particolare. Ognuno reagisce come si sente, lui ha scelto di stare in campo con noi e dopo aver partecipato al suo lutto andando anche a trovare a casa la povera mamma appena scomparsa mi venne quasi spontaneo corrergli incontro e abbracciarlo fortissimo subito dopo il fischio finale. “Questo gol è per te e per tua mamma Gabriella”, gli dissi. È stata una grande emozione. Come saranno grandi le emozioni che vivremo tutti insieme domani allo stadio».

 

Simone Padoin, la scelta diversa e i 5 scudetti

CALCIO: SERIE A; ATALANTA-LAZIO

«Mi fa davvero piacere salutare Gianpaolo alla vigilia della sua ultima partita a Bergamo. Ho conosciuto un grande professionista, un uomo di grandi valori che è stato molto prezioso nella mia crescita. Abbiamo fatto scelte diverse, la nostra storia è esattamente opposta: lui ha avuto la possibilità di andare a giocare lontano ma è rimasto a Bergamo, io ho colto l’opportunità di passare alla Juventus per capire se potevo stare in una grande squadra e giocarmi le mie carte a grandi livelli e sono riuscito a vincere 5 scudetti di fila. Non è stato facile, lui mi è stato vicino nei giorni della scelta e ha sempre cercato di aiutarmi e di farmi stare tranquillo rispettando la mia idea: l’Atalanta è stata una grande scuola di vita, professionalmente abbiamo percorso strade diverse ma gli faccio i miei auguri più sinceri per un futuro che, a prescindere da come sarà, sono sicuro gli riserverà grandi emozioni».

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