Il sentito addio a Vincenzo Pelliccioli: a Mozzo non c'era visita senza la sua guida
Appassionato di montagna, l'uomo ha organizzato gite con il circolo Acli, ha fondato il Gem ed è stato presidente del Cai di Ponte

di Dino Ubiali
«La pietra sta zitta, ma quando si muove lascia il segno». Queste parole riassumono l’essenza della vita di Vincenzo Pelliccioli, recentemente scomparso.
Sono quelle lette dal figlio Paolo durante le esequie di lunedì scorso in una chiesa parrocchiale piena di gente, di Mozzo ma anche “forestiera” che ha avuto la fortuna di incrociare Vincenzo durante la sua vita, lontano dai riflettori, con la grande capacità di coinvolgere le persone, sempre dietro le quinte, ma intensa.
«Studiare la pietra è stato lo scopo della sua vita - ancora le parole di Paolo -; nella metallurgia che qui si disvela tra le molecole che assumevano movimento nel suo amato lavoro, oppure nell’arte scultorea che riconosce in una guglia di una chiesa; esattamente come la cima da scalare, la montagna si scopre e diventa laboratorio da trasmettere ai ragazzi delle scuole del paese, come ai molteplici compagni di viaggio con i quali ha condiviso tante bellezze».

Vincenzo, secondo di tre figli, era nato il 5 marzo 1942 a Calcinate dove la mamma Rina insieme al papà Andrea, cantoniere della provincia, esercitava la sua professione. La famiglia ben presto si trasferì per il lavoro del padre a San Pellegrino e nel 1955 costruirono una cascina a Mozzo, in via Piatti, dove poi successivamente Vincenzo e i suoi fratelli Giuseppe e Giovanni, artista surrealista, costruirono l’attuale casa nel 1967.
Vincenzo iniziò a lavorare molto giovane (...)