Ora si fa chiamare "Metta World Peace"

Il turbolento Artest e altri big Quando Italia fa rima con Nba

Il turbolento Artest e altri big Quando Italia fa rima con Nba
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Il colpo del secolo. Così è stato definito senza mezze misure l’ingaggio da parte della Pallacanestro Cantù di Metta World Peace, ex stella NBA, vincitore del campionato di basket più famoso al mondo con la casacca gialloviola dei Los Angeles Lakers. Si è concretizzata negli ultimi giorni la firma di un personaggio che si è guadagnato dentro e fuori il parquet di gioco l’appellativo di star della lega americana.

Chi è. Nel 1999 quello che all’epoca si chiamava Ron Artest jr. si dichiarò eleggibile per il Draft NBA, venendo selezionato dai Chicago Bulls con la 16esima scelta. Durante la stagione da rookie in Illinois raccontò che beveva cognac nell’intervallo di tutti i match. Iniziò così la carriera di uno dei migliori difensori della storia del gioco della palla a spicchi che venne premiato nel 2004, quando giocava per gli Indiana Pacers, come miglior difensore dell’anno, per poi vincere nel 2010 da assoluto protagonista il suo primo ed unico anello con i Lakers di Kobe Bryant e Pau Gasol. In mezzo una vita che definire spericolata non renderebbe appieno l’idea. Il 19 novembre 2004 Artest si rende protagonista della celeberrima rissa del Palace di Auburn Hills dove, dopo essersi azzuffato con alcuni giocatori dei Detroit Pistons, decise di farsi giustizia da solo contro il pubblico di Detroit.

 

 

Il cambio di nome. Risultato? 86 incontri di squalifica, pari a tutto il resto della stagione in corso. Nel 2011 ottiene di cambiare all’anagrafe il suo nome in Metta World Peace perché convinto che «i bambini devono capire il concetto di pace nel mondo». Nonostante fuori dal campo i suoi principi siano assolutamente sottoscrivibili, Metta non riesce a tenere a bada tutta la rabbia e la grinta che lo fanno ardere non appena calca i parquet americani. Il 23 aprile 2012, mentre sta esultando per una notevole schiacciata, colpisce l’avversario James Harden con una violenta gomitata in pieno volto che gli costa altre 7 gare di sospensione

 

 

Cina, poi Italia. Poi lo sbarco in Cina, attratto dalla proposta commerciale, e ora l’arrivo in Italia in una città come Cantù, capoluogo del basket nostrano. Mai come adesso la nostra pallacanestro necessitava di un personaggio da copertina come World Peace, che sta attuando le pratiche per cambiare ancora nome in The Pandas Friend. Dopo tanti anni l’Italia torna ad avere in una delle sue squadre un grande giocatore NBA che, seppur avanti con gli anni (35), amplifica in modo considerevole l’interesse internazionale per una lega in perenne crisi, sia di pubblico che di mezzi economici a disposizione. Ora il compito di Metta è quello di caricarsi sulle spalle la Pallacanestro Cantù per portarla ai play-off in una stagione particolarmente difficile, con l’obiettivo di imitare le gesta di altre star NBA transitate dai nostri palazzetti.

I vecchi leoni McAdoo, Gervin e Wilkins. Tra i grandi campioni NBA poi venuti in Italia a fare la fortuna di compagini nostrane, Bob McAdoo è quello che ha arricchito maggiormente il suo palmarés. Sbarcato a Milano nel 1986 da Philadelphia, dopo due titoli vinti in carriera con i Los Angeles Lakers, portò le scarpette rosse meneghine a vincere subito il campionato e l’Eurolega, poi bissata nella stagione successiva. Quello che fu anche rookie of the year nel 1973 e Most Valuable Player dell’intera lega nel 1975, restò altri cinque anni in Italia, passati a Forlì e Fabriano.

 

 

Gervin e Wilkins. Meno fortunati a livello italiano, ma con un curriculum americano da brividi furono George Gervin e Dominic Wilkins. Il primo, 12 volte All-Star americano, arrivò a Roma nel 1986 e contribuì in una sola stagione a portare in alto la società capitolina con medie sul campo da capogiro; Wilkins invece, miglior marcatore NBA nel 1986 ad Atlanta (dove tutt’oggi è ricordato come uno dei più grandi giocatori della franchigia), arrivò alla Fortitudo Bologna nel 1997 e vinse una Coppa Italia, pur perdendo la finale scudetto contro i rivali cittadini della Virtus.

La “formazione” di Kukoc e Ginobili. In tempi più recenti invece l’Italia si è trasformata in una sorta di piattaforma di lancio per il campionato americano. Nel 1991 sbarcò a Treviso un 23enne croato già pronto per l’NBA, si chiamava Tony Kukoc ed insieme a Vinny Del Negro porterà la Benetton a vincere il suo primo scudetto della storia assieme alla Coppa Italia. Successivamente volerà negli Usa dove, al fianco di un certo Michael Jordan, sarà uno dei punti di forza dei Chicago Bulls del secondo three-peat. Arrivò a Reggio Calabria nel 1998 da Bahia Blanca in Argentina uno di quei giocatori destinati a dominare la scena mondiale per i successivi 15 anni: Emmanuel “Manu” Ginobili. Si formò sullo Stretto per poi esplodere definitivamente in maglia Virtus Bologna dove vinse nel 2001 campionato, Coppa Italia ed Eurolega. L’apprendistato italiano per Manu finì così in modo trionfante e volò in America dove con i San Antonio Spurs diventò campione NBA per quattro volte, l’ultima delle quali la scorsa stagione al fianco di Marco Belinelli.

 

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