Invettiva contro l'uomo-numero (soprattutto in fila al supermercato)
Anni fa mi trovavo con un amico, noto commercialista bergamasco, a Mosca per intervistare uno dei 'nuovi ricchi' che aveva appena acquisito gli ex magazzini Gum per farne un prestigioso centro commerciale in piena Piazza Rossa: davanti spiccava il Mausoleo di Lenin e sul lato sinistro si innalzavano le guglie a cipolla di San Basilio. Uno dei miei desideri era visitare al più presto quella basilica per il suo significato religioso unito a quello culturale, copiosamente tramandato dalla letteratura dei grandi scrittori russi. Ricevo una risposta che mi sorprende non poco: «A che serve andarci? È questo centro commerciale il vero luogo di culto contemporaneo e presto le cattedrali saranno proprio posti simili».
Devo dire che quella originalissima osservazione, giudicata piuttosto bizzarra per aver ferito la mia impostazione intellettuale decisamente classica, si sarebbe rivelata un’intuizione a dir poco profetica. Proprio in questi giorni di afa agostana, costretto ancora per qualche giorno a battere sui tasti del computer, mi sono lasciato arenare come un cetaceo in crisi di disorientamento in una di queste oasi, approfittando di qualche ora di libera uscita. Ho constatato come proprio in questa specie di paese dei balocchi molta gente, dopo averci svernato, passi le proprie ferie estive.
Non avrei mai immaginato di imbattermi in una folla di persone così numerosa, persone di ogni età, razza e estrazione sociale a fare la fila per lo smartphone o semplicemente per comprarsi un gelato. Code bibliche dappertutto: al bar per un caffè e perfino nelle librerie, generalmente deserte. Se la calura induce la voglia spasmodica di comprare, ben venga: in fondo è anche così che si dà una svegliata all'economia sonnolenta. Eppure quello che conta è considerare come in fondo queste concessioni all'edonismo non rappresentino altro che una forma di consolazione: sono le vacanze negate per tutta una serie di motivi che trovano nel centro commerciale la forma di appagamento forse più a buon mercato possibile. Alla fine, con una spesa che può essere relativamente modesta, si torna a casa stanchi morti, perché sono ambienti terribilmente stressanti, ma appagati e soddisfatti. Così la grande turba di turisti mancati, identica a quella degli stanziali invernali in cerca di calorifero tepore, ripete il rito recandosi a più riprese nella nuova cattedrale dove l'aria condizionata generosamente elargita offre la fatua illusione di una accoglienza a cinque stelle.
Ma nessun edificio di culto che si rispetti può fare a meno dei suoi ministri, che in questo caso sono i commessi sovente presi da un compito che scambiano per missione. Non esiste tipo di negozio, da chi vende aspirapolvere o evoluti pc a chi incarta pezzi di schiacciata e biscottini, che non preveda l'uso del famigerato numerino. Ecco, se c'è al mondo una cosa che mi indigna intimamente è proprio dover andare a strappare il biglietto che porta il numero che mi contraddistingue. Avverto in questa pratica di domestica 'giustizia distributiva' un che di spersonalizzante e perfino umiliante che mi infastidisce intimamente suscitandomi insopprimibili punte irritative. Si badi bene: ne riconosco l' evidente effetto pratico, ma è alla causa che spinge a un simile meccanismo che mi oppongo. L'uomo numero, così come quando è costretto ad esempio per sua disgrazia ad andare in un ospedale. Perdita totale di identità, cancellazione di qualsiasi diritto tranne la cura. Lo stesso di fronte al commesso rapito sovente dal suo tamarro-pensiero di avere tutti davanti a lui come cagnolini con il loro bravo numerino in mano: non hanno diritto a niente tranne il servizio a turno acquisito. Non c'è umanità in questo modello sociale che taglia a tranci, come il pescespada ai mercati generali, e non possiede finezza né l'eleganza.
«No», dovrebbe dire la turba amorfa, mossa da un singulto di recupero della propria individualità. «Noi siamo persone, poco importa chi è arrivato prima o dopo, noi vogliamo un rapporto davvero umano. Vada a simpatia, che è meglio. Sorrida e magari ci chiami per nome, ma lasci stare la serie dei numeri». Sto scherzando, altrimenti vaneggerei. Il genere umano ha lasciato troppo dietro di sé per nutrire uno spirito così ironico e autoironico. In una società depressa quanto la nostra è normale prendere e prendersi sempre maledettamente sul serio, proprio perché manca la cultura della sottigliezza: e allora allignano legittimandosi formulette e protocolli. Personalmente sembro indisciplinato, quando in realtà sono solo distratto. Sono sempre l'ultimo a capire che era necessario munirsi del numero lasciapassare e così devo rifare la fila.
Ma quello che mi sta davanti, il ministro laico che sta affettando la mortadella, non se ne accorge? In quale mondo è chiuso, a quale sballo serale sta pensando, che tipo di rapporto ha mai pensato di instaurare col suo cliente? Mi ha visto, oppure mi ha guardato senza vedermi, e per lui (o lei) serve soltanto il pezzettino di carta con su stampigliato il diritto di accesso: è automatico quanto i suoi pensieri ed è semplicistico perché si crede di non fare torto a nessuno quando si ignora inconsapevolmente la dignità di ciascuno. Per lui, per questa società senza mezzi culturali, senza immaginazione né creatività, non conta l'evidenza conta, il numero. Da semi e segnali del genere nasce la sclerotizzazione di un sistema che perde flessibilità e conduce all'ottusità, da qui alla dittatura prima del pensiero, poi del sistema, il passo è assai breve.