Le ultime bandiere del calcio

Jansen, che ha appeso gli scarpini pur di non cambiare maglia

Jansen, che ha appeso gli scarpini pur di non cambiare maglia
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Gli addii di Gerrard al Liverpool, di Casillas al Real Madrid e Xavi al Barcellona sembrano aver definitivamente fatto calare il sipario sul calcio dei grandi giocatori affezionati alla maglia e bandiere del proprio club. Non vedere più dalla prossima stagione il sudore in mezzo al campo del capitano dei Reds o le geometrie del piccolo funambolo catalano o qualche movimento felino tra i pali (alternato a riflessi non più lucidissimi) del portiere spagnolo, sarà quantomeno strano. L’unico superstite, assieme a Giampaolo Bellini, di un calcio fatto di attaccamento alla maglia sembra essere rimasto Francesco Totti che rimane il leader carismatico di una Roma in procinto di iniziare la stagione verità (per far vedere se la gestione Garcia è un fuoco di paglia oppure no). Dalla Germania, terra di pragmatismo e cuori di ghiaccio, arriva però la storia di un giocatore che, seppur in età ancora utile per frequentare i campi di calcio per almeno altri 5/6 anni, ha deciso di appendere gli scarpini al chiodo in quanto non in grado di vestire una casacca diversa da quella del suo ultimo club. Lui è Marcell Jansen, fluidificante di fascia tedesco con all’attivo oltre 300 gettoni in Bundesliga.

 

 

Gli esordi “in casa”. Nato a Mönchengladbach, pochi anni dopo che Allan Simonsen e Jupp Heynckes avevano fatto dei puledri della Renania una delle squadre più forti d’Europa, Jansen dà i primi calci al pallone proprio nelle giovanili “dell’altro Borussia”, estasiato dalla classe di uno dei fuoriclasse teutonici appena formatosi tra i bianconeri: Lothar Matthaus. La lunga gavetta viene premiata nel 2005 quando il tecnico Dick Advocaat lo promuove titolare, dandogli il posto che apparteneva ad una colonna tedesca come Christian Ziege.

 

 

Arriva in Nazionale. Le sempre più convincenti prestazioni gli valgono la stabilità sulla fascia al Borussia e la convocazione in Nazionale, avvenuta per la prima volta durante la gestione Klinsmann. Dal 2005 in poi Marcell collezionerà 45 gettoni nella selezione teutonica, disputando diversi match sia durante Euro 2008 che nei Mondiali sudafricani del 2010. Prima però nel 2007 era arrivata la grande occasione: il Borussia Mönchengladbach retrocede e Jansen viene ceduto al Bayern Monaco per 14 milioni di euro (non proprio due spiccioli). In Baviera però, nonostante le 33 presenze e la vittoria di Bundesliga, Coppa di Germania e Coppa di Lega, non riesce ad imporsi e a scalzare Willy Sagnol e Philipp Lahm dal ruolo di titolari.

 

https://youtu.be/NEpvrwuNLCs

 

L’amore per l’Amburgo. Così nell’estate 2007 passa all’Amburgo, convinto che la sua dimensione sia giocare per un club di medio-alta fascia senza troppe pressioni, facendo nel frattempo stabilmente parte in pianta stabile della Nazionale che si sta formando. In otto anni si lega visceralmente alla squadra della Bassa Sassonia, disputando 187 partite, condite da 24 reti, che gli permettono di diventarne il capitano. Al termine dell’ultima stagione, dopo che l’Amburgo si è salvato miracolosamente nello spareggio contro una squadra della divisione inferiore (rimanendo così l’unico team nella storia della Bundesliga a non essere mai retrocesso), la dirigenza ha deciso di non rinnovare il contratto di Jansen che si è trovato così a 29 anni senza un club.

 

 

Il ritiro. Qui la decisione per certi versi sorprendente del giocatore di rinunciare a qualsiasi altra offerta pervenutagli a causa del legame viscerale instauratosi con l’Amburgo negli ultimi anni. Queste le parole di Jansen rilasciate al quotidiano sportivo tedesco Bild: «C’erano tante buone offerte, ma ho capito che continuare per me non è un’opzione. Sono in ottime condizioni, posso essere preso a parametro zero e posso guadagnare ancora tanto, ho preferito però rinunciare ai soldi. Negli ultimi anni mi sono legato tantissimo emotivamente all'Amburgo, un club che continuerò ad amare. Non cambierò città o club perchè non riuscirei a giocare per un’altra squadra, a baciare un altro stemma. Non sarebbe giusto». Una storia significativa di amore per una squadra che va oltre il calcio giocato ed i soldi guadagnati.    

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