La prima donna a correre a Boston torna in pista oggi, 50 anni dopo

Era la Maratona di Boston del 1967. Una donna corse per 4 ore e 20 minuti. Che cosa ci sia di strano è presto detto: in quegli anni le donne erano considerate troppo fragili per partecipare a gare di fondo. A dire il vero erano considerate troppo fragili per tantissime cose. I giudici di gara provarono a fermarla, ma non ci fu nulla da fare. Per completezza di informazione, è giusto ricordare che, qualora la coraggiosa Kathrine Switzer non fosse riuscita da sola a respingere gli attacchi del giudice di gara indignato che reclamava il pettorale numerato, ci avrebbe pensato il fidanzato di lei, un certo Tom Miller, che, oltre ad essere un convinto attivista nella lotta per la conquista dei diritti delle donne, era pure un ometto di 106 chili. Ma Kathrine non ne aveva bisogno.
Non ne aveva mai avuto nemmeno al college, quando i suoi compagni maschi, sentendosi probabilmente umiliati ad esserle inferiori in praticamente ogni sport (sia mai che una femmina possa battere un maschio), le inviavano lettere anonime di minaccia e la escludevano in ogni modo possibile, anche quando l'allenatore della squadra di hockey del suo college la voleva assolutamente in campo a ogni allenamento e a ogni partita. Kathrine era un'atleta straordinaria, ed era pure una giornalista laureata. La femminuccia vinse la maratona di New York nel 1974 e fece il suo record chiudendo quella di Boston in 2 ore e 50 minuti.
Perché stiamo parlando di lei? Perché la fragile Kathrine, che fragile evidentemente non è nemmeno ora, a settant'anni si appresta a correre l'imminente maratona di Boston. Cinquant'anni dopo quel giorno indimenticabile. Quella di Kathrine è una bellissima storia di sport, ma anche di una lotta, quella per i diritti delle donne, che non è mai del tutto anacronistica e che ancora oggi ha molta strada davanti. E quindi celebriamo questo straordinario esempio di una donna che ha avuto successo, giustizia e coraggio. Corri, Kathrine, siamo tutti con te!