Testimonianza di monsignor Delgado

«Per ascoltare le omelie di Romero la gente aveva cancellato il calcio»

«Per ascoltare le omelie di Romero la gente aveva cancellato il calcio»
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Giovedì sera, 10 settembre, presso il Centro Congressi Giovanni XXIII, si è tenuto l’incontro con monsignor Jesus Delgado, segretario personale del beato Óscar Arnulfo Romero dal 1977 al 1980. Il sacerdote salvadoregno ha regalato ai presenti una  testimonianza viva sulla santità di Romero, sul suo impegno per i poveri. Organizzato dall’Editrice Missionaria Italiana nell’ambito di Bergamo Festival – Fare la Pace, in collaborazione con il Centro Congressi Giovanni XXIII e il Patronato San Vincenzo, l’incontro è stato moderato da don Davide Rota (Superiore del Patronato San Vincenzo) e ha visto la viva e interessata partecipazione bergamasca.

«Io vi chiedo disculpa, perdono, pazienza, per il mio italiano». È stata questa la sincera premessa con cui monsignor Delgado ha dato inizio alla sua testimonianza su Romero, l’arcivescovo martire del Salvador beatificato per decisione di papa Francesco lo scorso maggio, il quale lo ha definito “un uomo di Dio”. Una testimonianza che ha intrecciato elementi personali ad elementi legati alla storia, quella del Salvador, un Paese che porta sulle spalle il peso di una tradizione complessa, improntata su povertà, disuguaglianza sociale, e una dipendenza sempre troppo stretta della sfera ecclesiastica dagli ambienti governativi. Un rapporto gerarchico non più sostenibile nel momento in cui alcuni vescovi, tra cui monsignor Romero, vi si sono ribellati, contrapponendovi l’ideale di «una Chiesa che non deve essere strumento del governo, ma puro strumento di evangelizzazione».

 

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È stata l’uccisione di padre Rutilio Grande, uomo eccellente e sacerdote esemplare, a portare monsignor Romero ad una nuova consapevolezza sul suo ruolo pastorale. Un assassinio, quello di padre Grande, che l’allora Presidente del Salvador aveva giustificato a Romero inserendolo in un più ampio progetto di eliminazione di altre figure ecclesiastiche indesiderate, un piano infernale che prevedeva una lista di 80 sacerdoti. Ed è stato proprio in quel contesto che il Presidente aveva sollevato a Romero una richiesta stringente e surreale: «O tu, Romero, fai in modo che questi sacerdoti se ne vadano o saranno uccisi». A partire da quel momento Romero decise che non avrebbe mai più comunicato direttamente al Presidente, ma lo avrebbe fatto sempre e solo tramite omelia. «E la gente lo ascoltava» ha raccontato Delgado, «lo ascoltava, perché parlava in modo squisito. Lo ascoltava tanto che il calcio domenicale era stato annullato, poiché la gente preferiva prestare attenzione alle sue omelie, che talvolta duravano anche 4 ore. Lo ascoltava perché era l’unica voce nel Salvador di cui la gente si fidasse. Monsignor Romero era visitato da tutti, da ricchi, da poveri. Io l’ho conosciuto all’inizio del suo incarico come arcivescovo. È stato il 22 febbraio 1977, ha preso possesso del suo arcivescovado nella chiesa di San Salvador, in cui io sono parroco. Mi aveva chiesto di diventare il suo Segretario, di aiutarlo a conquistare il Clero. Sentiva di non essere rispettato e benvoluto. E io, ovviamente, ho accettato».

Monsignor Romero aveva conquistato non solo per le sue parole, ma anche per la sua fede praticata. «Romero amava tutti. Era diventato il Robin Hood di Dio. Chiedeva ai ricchi delle loro ricchezze per darle ai poveri, ogni settimana. Distribuiva tutti i lunedì quello che aveva raccolto. Quando gli hanno chiesto cosa avesse imparato dalla morte di padre Grande rispondeva che aveva compreso che doveva  stare con la gente, camminare col popolo, e se prima lo faceva in nome della carità, col tempo iniziò a farlo nel nome della giustizia. Era diventato la voce di coloro che non ne avevano, voce per un popolo che soffre. Per questo era nemico diventato del governo».

 

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L’ultimo incontro tra Delgado e Romero avviene la mattina del 24 marzo del 1980, giorno in cui l'arcivescovo verrà ucciso. Il segretario ricorda che «proprio il giorno precedente aveva predicato un’omelia molto forte, vera, dura. Gli avevo annunciato che, probabilmente, sarebbero giunti molti giornalisti a chiedere spiegazioni, per questo mi ero proposto di sostituirlo in tutti i suoi impegni, lo avevo invitato a riposarsi. Mi aveva detto che l’unica cosa che avrei potuto fare, in caso di un suo contrattempo, sarebbe stata cominciare la messa delle 18, presso l’ospedaletto. “Se non arrivo, comincia tu, io ti raggiungo” mi aveva detto. E stava per andarsene. Ma dopo quindici passi si è voltato e aveva già cambiato idea. “No, meglio di no. La celebrerò io”. L’uomo che ha ucciso Monsignor Romero non lo conosceva, era un tiratore contattato da terzi. Ma sul giornale era stato annunciato che la messa sarebbe stata presieduta da lui, cosa che non era mai successa. Non era mai capitato prima di allora che comparisse da chi sarebbe stata celebrata la messa. Probabilmente si trattava di un segnale per l’esecutore. Se io fossi stato al suo posto, sarei stato ucciso. E questo mi rende in comunione con questo martirio, mi lega alla sua vita e alla sua morte».

Nel suo incontro a Bergamo, monsignor Delgado ha offerto una testimonianza diretta dell’impegno di Romero come pastore in mezzo al popolo e il pubblico ha potuto conoscere alcuni degli aspetti più intimi e reali della grande figura di Romero come uomo e credente, un vescovo consapevole che il suo impegno per la verità gli sarebbe potuto costare la vita: «La Chiesa è più grande e più santa quando è perseguitata» furono le parole che scrisse in una delle lettere pubblicate da Delgado.

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