Ha cominciato a scrivere a 13 anni. Poi, Nadia Agustoni, prima della maggiore età, ha preso consapevolezza che la poesia era qualcosa di più del mettere giù versi che venivano all’improvviso. Ha iniziato a leggere più poesia, più letteratura. Ha cominciato a frequentare alcuni poeti di Bergamo, coltivando periodi intensi di riflessione sulla parola, sulla scrittura.
Quando si è trasferita a Firenze, ha sperimentato scambi proficui con altre voci della poesia italiana, entrando nella redazione della rivista L’area di Broca. Il direttore era Mariella Bettarini. Come redattrice si è fatta anche le ossa, in quanto le arrivavano molti testi, capiva quali novità circolavano, quali scritture giravano nell’ambiente letterario.
Ci sono poeti che l’hanno particolarmente influenzata?
«C’è un poeta che amo molto. È Dino Campana. Poi apprezzo Amelia Rosselli. Ho letto anche tanti stranieri, Celan sicuramente, ma nessuno mi ha influenzato. Clemente Rebora è un altro poeta che mi è caro».
Come definirebbe la sua poesia?
«Una poesia con una radice lirica, però proiettata sul mondo».
In che senso «lirica»?
«È un’attenzione ai suoni, un’attenzione alla sonorità delle parole. Del resto la poesia nasce dai suoni. Ma non è solo forma, sono entrambe le cose unite. Questa è la lezione anche dei poeti russi, primo fra tutti Osip Mandel’štam».
Come andò a Firenze?
«Mi sono trasferita perché avevo bisogno di cambiare, di un ambiente più libero, più vasto, in un periodo anche di ricerca esistenziale. Avevo 28 anni. Lì era più difficile trovare lavoro, però (…)