L'omelia che il cardinal Tettamanzi tenne per la morte della madre

Si chiamava Giuditta Ciceri. Era il prototipo delle donne lombarde, casa-famiglia-preghiera. Di speciale aveva solo il fatto di essere la mamma di un cardinale della più grande diocesi italiana: Dionigi Tettamanzi. La signora Giuditta ha vissuto molto a lungo: morì infatti a 101 anni nel 2012 quando il suo illustre figlio aveva lasciato da un anno la guida della diocesi e aveva a sua volta 78 anni. In occasione del funerale, nella parrocchia di Renate, nel cuore della Brianza, fu proprio “don Dionigi” a tenere la predica. Una predica stupenda, che dice tanto non solo della mamma, ma anche di lui, arcivescovo dal profilo semplice, un uomo che ha sempre saputo tenere un equilibrio tra il passato e la modernità della terra di cui è stato pastore. Oggi nel Duomo di Milano si terranno i funerali di “don Dionigi”. Per capire chi era vi proponiamo qualche passaggio di quella omelia davanti al feretro di sua mamma.
Carissimi, il silenzio che ora stiamo vivendo si riempie per tutti noi di ricordi, di sentimenti, soprattutto di preghiera. Questo nostro silenzio si è aperto all’ascolto della Parola di Dio, l’unica che veramente conta, sempre, ma soprattutto nei momenti della sofferenza e della morte. Sulla scia della Parola di Dio e quasi come sua eco mi sia lecito ricordare alcune parole umane in riferimento a mia madre.
La prima parola è ringraziamento a Dio per il dono di una vita assai carica di anni: tantissimi, centouno compiuti il 14 gennaio. Li vedo come il segno molto concreto di una vita che non è ritmata da un tempo più o meno lungo: è il segno della vita eterna, che non finisce e non conosce tramonto. È a questa vita che il morire umano ci consegna, non al nulla. Nel disegno di Dio il seme del tempo fiorisce e si compie nel frutto di una vita senza fine.
La seconda parola è il colloquio con Dio, uno dei valori più alti del nostro vivere quotidiano. Come donna di fede, mia mamma ha pregato tanto. Domenica scorsa nel pomeriggio l’ho visitata e le ho chiesto: «Mamma, hai pregato?». Mi ha risposto: «Sì, prego sempre; ho pregato con le parole, e poi ho pregato senza parole: ed è questa la preghiera più alta». Il pomeriggio prima della sua morte, da cosciente, ha recitato per ben due vote l’Ave Maria: l’ha recitata adagio, con il movimento delle mani rivolto a me: mi pareva di imparare, come figlio dalla madre, la preghiera alla Madonna. Mia sorella l’ha vista spirare alle quattro di giovedì mattina e mi ha detto che la mamma ha chiuso la sua vita con grande serenità in volto, lo sguardo e mani levate in alto, con l’invocazione: «Aiutami, Gesù!». Amo pensare che il Signore, dopo averla purificata dalle sue miserie, l’abbia reclutata nel grande coro del Paradiso.
E, per finire, c’è una preghiera che mia mamma ha recitato un’infinità di volte. La voglio recitare anch’io, in questa Chiesa Parrocchiale, che è la mia e dei miei famigliari, pensando alla grande Chiesa ambrosiana e alla sua particolare necessità di nuove vocazioni. «O Gesù, che ti sei degnato di posare il tuo sguardo misericordioso sulla mia casa e di chiamare a tuo seguito uno dei miei figli, fa’ di lui un degno sacerdote, affinché possa essere gloria per la tua Chiesa e consolazione della Madre tua. Te lo offro per le mani di Maria Santissima, ripetendo con lei il mio fiat, rassegnata e riconoscente»