Il nobel per la letteratura 2015

La vita «per com'è realmente» La scrittura di Svetlana Aleksievich

La vita «per com'è realmente» La scrittura di Svetlana Aleksievich
Pubblicato:

Risale alle 13 di oggi, 8 ottobre, l’annuncio del premio Nobel per la letteratura del 2015. Lei si chiama Svetlana Aleksievich ed è bielorussa, benchè sia nata nella città ucraina di Ivano-Frankivsk. Il comitato di assegnazione del riconoscimento l’ha preferita ad altri grandi e più conosciuti nomi del panorama letterario mondiale, come Haruki Murakami, Philip Roth e Joyce Carol Oats, perché la «sua opera polifonica, [è un] tributo al coraggio e al dolore dei nostri tempi». La tredicesima donna a cui è stato assegnato un Nobel per le lettere è nata il 31 maggio del 1948. La Aleksievich ha studiato giornalismo all'Università di Stato di Minsk tra il 1967 e il 1972 e ha cominciato a lavorare come insegnante e giornalista nella capitale bielorussa. Agli inizi della sua carriera di scrittrice e saggista ha tentato diversi generi, ma ha scoperto che le era più congeniale seguire un metodo, piuttosto che un genere vero e proprio. La Aleksievich ha dunque perseguito e perfezionato un modus operandi e scribendi finalizzato a fare aderire il più possibile la sua scrittura al «ritratto della vita, per come è realmente»; probabilmente la sua formazione giornalistica ha avuto una parte importante in tale scelta. La scrittrice ha fatto e fa ampio uso di materiale documentario e storico, perché, come riporta nel suo sito web, per lei l’arte da sola non sa raccontare veramente chi sia l’uomo:

Ho cercato un genere che fosse il più adeguato per la mia visione del mondo, il più adeguato per fare capire come sentono le mie orecchie e come vedono i miei occhi. Ho provato questo e quello e alla fine ho scelto un genere in cui le voci umane parlano per se stesse. Nei miei libri le persone reali parlano degli eventi più grandi dell’epoca, come la guerra, il disastro di Chernobyl e il crollo di un grande impero. Insieme registrano verbalmente la storia del Paese, la loro storia comune, mentre ciascuna persona trasforma in parole la storia della sua vita. Oggi, in un tempo in cui l’uomo e il mondo sono diventati così sfaccettati e diversificati, il documento [storico] nell’arte sta diventando sempre più interessante, mentre l’arte in se stessa spesso si dimostra impotente. Il documento ci porta più vicino alla realtà, poiché cattura e preserva gli [eventi] originali. Dopo vent’anni di lavoro con materiale documentario e dopo avere scritto cinque libri basandomi su di essi, io dichiaro che l’arte ha fallito nel comprendere molte cose sulle persone.

 

R600x__6aleksievich-U4300046334365375B-59x80@Corriere-Print-Nazionale-028-kDK-U431206104450921qB-1224x916@Corriere-Web-Sezioni-593x443

 

Nel suo romanzo d’esordio, La guerra non ha un volto di donna (War’s Unwomanly Face, 1983) la scrittrice ha usato una serie di interviste a donne che hanno vissuto durante la Seconda Guerra Mondiale per studiare e raccontare cosa è stata l’esistenza per le mogli, le madri e le sorelle dei soldati sovietici, donne impiegate nell’industria bellica e nelle retroviee per sostenere l’esercito, ma poi dimenticate una volta terminato il conflitto. Anche il suo lavoro successivo di Svetlana Alksievich, Ragazzi di zinco (Zinky Boys: Soviet Voices from the Afghanistan War, 1989), si è avvalso di una grande quantità di materiale storico, consistente in cinquecento testimonianze e interviste ai veterani della guerra sovietica in Afghanistan e alle madri dei soldati morti in quel conflitto: come si sarà già notato, il punto di vista femminile ricorre costantemente, nel materiale preparatorio e poi nel lavoro di scrittura del premio Nobel. Sono proprio i soldati caduti in guerra a giustificare il titolo dell’opera: i ragazzi di zinco, infatti, erano chiamati i combattenti uccisi e poi messi in tombe di zinco. La pubblicazione di questo libro ha causato non poche preoccupazioni all’autrice, che infatti ha dovuto comparire più volte di fronte alla corte giudiziaria di Minsk, a partire dal 1992. Non è stata mai accusata direttamente di alcuna violazione del diritto, almeno non finché ha preso il potere Lukashenko, che nel 1994 ha rimpiazzato un governo relativamente democratico con un regime di ferro. Svetlana Aleksievich è stata accusata dai nuovi poteri di essere una spia della CIA e, dopo avere subito vari attacchi al suo lavoro e alla sua persona, nel 2000 ha deciso di scegliere la via dell’esilio. Nel frattempo non ha smesso di scrivere, né di pubblicare: le sue opere successive sono state Preghiera per Chernobyl, nel 2004 (nella Postfazione Aleksievich ha scritto: «Queste persone [le vittime sopravvissute al disastro] hanno già visto quello che per tutti gli altri è ancora sconosciuto. Mi sono sentita come se stessi registrando il futuro»), e Incantati dalla morte (2005), un reportage sui suicidi avvenuti in seguito al crollo dell’Unione Sovietica. Nell’ultimo decennio ha vissuto in Svezia, Germania e Francia, ma nel 2012 è tornata a Minsk per lavorare sul suo nuovo libro, che uscirà a settembre in Germania e, poco dopo, in Russia.

La scrittura serve alla memoria. La Aleksievich scrive tenendosi vicino la gente, il popolo. I testimoni veri. Il suo stile, che qualcuno ha definito un misto di eloquenza e di essenzialità verbale rinuncia agli abbellimenti artistici per dire, nel senso più diretto e più concreto del termine. La scrittura deve servire alla memoria, alla denuncia, al cambiamento. L’arte per l’arte è un concetto distante da di Svetlana Alksievich, scrittore-collettore che raduna le voci della storia.