Una battaglia iniziata nel 2004

La vittoria del coltivatore francese intossicato dagli erbicidi Monsanto

La vittoria del coltivatore francese intossicato dagli erbicidi Monsanto
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Ha vinto la sua battaglia Paul François, coltivatore di cereali a Bernac, nell’ovest della Francia, e a cadere davanti a lui, almeno per ora, è stato un gigante dell’industria biotecnologica come Monsanto. La notizia, ovviamente, ha avuto un clamore enorme, proprio perché la corte d’appello di Lione ha ritenuto il gigante americano colpevole per i gravi danni di salute avuti dall’uomo. I fatti risalgono, stando alle ricostruzioni, al 2004, e ora dovrà essere risarcito dall’azienda.

 

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La storia di Monsanto. C'è da credere che non sarà un particolare danno economico per Monsanto, azienda multinazionale di biotecnologie agrarie dal fatturato annuo di 14,5 miliardi, bensì forse d'immagine, già abbastanza incrinata da anni di sospetti. L’impresa è stata fondata nel 1901, a Saint Louis nel Missouri. A quei tempi il suo cliente principale era la Coca Cola, che riforniva di saccarina. Poi l’azienda incominciò a produrre anche acido salicilico, Aspirina, acido solforico e altri componenti chimici usati in campo agricolo, come fertilizzanti, pesticidi ed erbicidi. Negli ultimi decenni, è diventata anche una produttrice di sementi transgeniche. Questo quello che dice il curriculum. Poi, purtroppo, ci sono state le tante accuse. La Monsanto è nota alla cronaca fin dal 1947, quando l’esplosione di una fabbrica a Texas City provocò 500 morti. Nel 1949, a Nitro, in Virginia, duecento dipendenti svilupparono la cloracne, una malattia della pelle, in seguito a un altro incidente. Il tragico evento fece scoprire l’alta tossicità dei materiali trattati dalla Monsanto: l’erbicida a cui lavoravano gli operai della Virginia, infatti, conteneva elevati livelli di diossine. Nonostante l’azienda fosse a conoscenza della tossicità della sostanza fin dal 1938, continuò a commercializzarla fino agli anni Settanta, quando la sua vendita fu proibita.

 

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Altre storie: Argentina. La storia moderna è segnata da altri drammi privati e collettivi provocati dalla velenosità dei prodotti Monsanto. Nel 2005, ad esempio, migliaia di medici argentini hanno firmato una petizione per proibire l’erbicida glifosato della Monsanto, ritenuto responsabile di gravi malattie su un’area dove si produce la soia. «Se una donna resta incinta nel periodo della diffusione dei fertilizzanti, c‘è un alto rischio che abbia un bambino handicappato. Il modello di produzione con la soia geneticamente modificata ci sta avvelenando. Avvelena l’aria, l’acqua, il terreno. Sta uccidendo i nostri bambini e ci porta il cancro»., ha affermato il medico Medardo Avila Vasquez. Il glifosato, peraltro, è stato dichiarato cancerogeno anche dall’Agenzia per la Ricerca sul Cancro (Agency for Research on Cancer – IARC). Diciassette esperti hanno pubblicato i risultati dei loro studi su The Lancet Oncology e hanno affermato che alcuni prodotti chimici usati in agricoltura, tra cui appunto il glifosato, portano non solo alla leucemia infantile e alle malattie neurodegenerative, come il Parkinson, ma sono tra le cause del linfoma non-Hodgkin. La Monsanto, da parte sua, ha affermato che la ricerca IARC non ha assolutamente alcun valore e che si tratta di «scienza spazzatura».

Paul François. Quando tutto è cominciato. La cronaca recente, appunto, riguarda il coltivatore francese, la cui vicenda segna però una svolta nella storia delle infinte contese legali tra multinazionali e cittadini danneggiati da prodotti non a norma. La vicenda di Paul François inizia nel 2004, quando il coltivatore sta pulendo un serbatoio contenente l’erbicida Lusso, sintetizzato dalla Monsanto. I gas tossici emanati dalla sostanza e respirati da Paul hanno un effetto disastroso sul suo fisico. Per un anno deve smettere di lavorare. Le analisi cliniche hanno trovato tracce di clorobenzene nel suo corpo, sebbene la Monsanto abbia mancato di mettere qualsiasi tipo di avvertenza sulle confezioni dell’erbicida. Il contadino della Charente, regione occidentale della Francia, soffre da allora di perdite della memoria, mal di testa e balbuzie. I danni neurologici provocati dall’erbicida sono irreparabili e le autorità hanno classificato i disturbi che affliggono Paul François come “malattia professionale” dal 2010.

 

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Un prodotto davvero pericoloso. Poco dopo avere riscontrato i problemi causatigli dal Lusso, Paul ha fatto causa alla Monsanto, accusandola di non avere avvertito correttamente il consumatore delle pericolose sostanze contenute nell’erbicida. Il Lasso è utilizzato dagli anni Sessanta, ma era già stato tolto da commercio in Canada (1985), in Belgio e in Gran Bretagna (1992). Pochi anni fa è sparito anche dai negozi statunitensi e, nel 2007, anche da quelli francesi. Fortunatamente, l’erbicida ha smesso di essere così popolare come lo era in passato, ma ormai per Paul era troppo tardi.

Una sentenza storica. Nel 2012 la giustizia francese riconosce in primo grado la colpevolezza della Monsanto. La multinazionale ha invocato il giudizio in appello e, giovedì 10 settembre, la corte di Lione ha emesso il suo verdetto. L’azienda è stata di nuovo riconosciuta responsabile dei danni provocati al coltivatore francese, confermando la sentenza del 2012. L’avvocato del coltivatore, Francois Lafforgue, ha parlato di una «una decisione storica, dal momento che si tratta della prima volta in cui un produttore di pesticidi è dichiarato colpevole di un simile avvelenamento». Il difensore della Monsanto, Jean-Philippe Delsart, ha invece commentato: «La Monsanto ha sempre sostenuto che non ci fossero elementi sufficienti per stabilire una relazione causale tra i sintomi di Paul Francois e un possibile avvelenamento». Ha anche aggiunto che l’azienda porterà il caso in Cassazione e che soltanto se la Monsanto verrà riconosciuta colpevole anche in terzo grado, allora sarà versato un risarcimento al coltivatore: «Stiamo parlando di somme di denaro modeste o persino inconsistenti. Ha già ricevuto delle indennità (dalle assicurazioni) e c’è una regola fondamentale che dice che non si riceve un doppio compenso per una perdita, se ce n’è una». La multinazionale statunitense non ha intenzione di mollare la presa.

 

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