Il libro edito da Taschen

L'archivio segreto di Charlie Chaplin

L'archivio segreto di Charlie Chaplin
Pubblicato:

«Sono nato il 16 aprile 1889, alle otto di sera, in East Lane, Walworth», tale è l’incipit di La mia autobiografia (1964), e chi se non Charlie Chaplin avrebbe potuto firmarla, dal momento che le coordinate spaziotemporali sono proprio le sue. Il figlio d’arte, il Vagabondo che s’è fatto da sé, dai vaudeville inglesi fino a Hollywood, era molto geloso dei segreti del mestiere, segreti che si traducevano in ore di lavoro alle quali non voleva che assistesse nessun estraneo. Non permise mai che venissero scattate fotografie delle sue gag, raramente ammise giornalisti suoi sui set e, nonostante abbia scritto l’autobiografia succitata, nel corso della sua vita rivelò molto poco riguardo alla creazione dei suoi celebri film. Fino ad oggi.

Gli studiosi e gli appassionati di Chaplin, infatti, potranno accedere agli archivi dell’attore, finora rimasti segreti; archivi capaci di fare la gioia del fan più curioso, del professore di storia del cinema più attento ai dettagli, ricchi come sono – gli archivi – di fotografie mai viste, memorie, noticine scritte su fogli volanti e interviste. I materiali sono stati pazientemente raccolti e riuniti in un unico libro. Questo fatto ha reso particolarmente agevole la consultazione, ovviamente. Non ci sarà nessun bisogno di porgere richieste particolari presso biblioteche blindate, né di dimostrare di essere in possesso di requisiti specifici: basterà andare in una libreria e il dio denaro farà il resto.

[The Charlie Chaplin Archive, Taschen]
charlie_chaplin_archives_xl_gb_open_0156_0157_01119_1506241152_id_741708
Foto 1 di 8
charlie_chaplin_archives_xl_gb_open_0246_0247_01119_1506241153_id_741723
Foto 2 di 8
charlie_chaplin_archives_xl_gb_open_0350_0351_01119_1506241153_id_741753
Foto 3 di 8
charlie_chaplin_archives_xl_gb_open_0378_0379_01119_1506241154_id_741768
Foto 4 di 8
charlie_chaplin_archives_xl_gb_open_0384_0385_01119_1506241159_id_741813
Foto 5 di 8
charlie_chaplin_archives_xl_gb_open_0392_0393_01119_1506241157_id_741798
Foto 6 di 8
charlie_chaplin_archives_xl_gb_open_0394_0395_01119_1506241158_id_972515
Foto 7 di 8
charlie_chaplin_archives_xl_gb_open_0398_0399_01119_1506241158_id_741828
Foto 8 di 8

Torniamo al nostro soggetto: nel lodevolissimo libro, di cui ci siamo dimenticati di ricordare il titolo, e cioè The Charlie Chaplin Archive (Taschen, 128, 74 dollari), e pure il curatore, e cioè Paul Duncan, si spiega per bene come il comico sviluppasse le sue scene più famose, dal banchetto a base di scarpe (The Gold Rush), alla chiusura poetica di City lights, in cui la fiorista cieca apre gli occhi all’amore. «L’unico genio comico del nostro tempo, l’unico di cui ancora di parlerà tra un secolo», come affermava senz’ombra di dubbio Roscoe “Fatty” Arbuckle, era un personaggio enigmatico, controverso e in contraddizione con se stesso, proprio come la divisa che volle per il suo personaggio Charlot: pantaloni larghi e informi, che s’ispirarono proprio a quelli di Arbuckle, il soprabito stretto, il cappello piccolo e le scarpe grandi. Ogni pezzo del suo vestiario, così bizzarro nel suo insieme, aveva però un significato preciso: «il mio costume mi aiuta ad esprime il concetto dell’uomo medio. Il cappello rappresenta la lotta per la dignità. I mustacchi sono la vanità. Il bastone è una posa che va verso la galanteria. Sta inseguendo la follia, e ne è consapevole. Lo sa così bene che sa ridere di se stesso», diceva Chaplin.

 

  

 

Ma il volume non fornisce soltanto utili informazioni sul lavoro dell’attore, e di come continuasse a ritoccare le sue pellicole fino alla vigilia dell’uscita nei cinema. Dagli archivi sono emersi anche dati meno legati all’arte e più all’uomo, un uomo che aveva una passione insana per le adolescenti, che fu per anni tenuto sott’occhio dall’FBI, perché si credeva che simpatizzasse per il comunismo, e tanto lo si credeva, che il Regno Unito rinunciò a conferirgli il titolo di cavaliere, per paura di alienarsi gli Stati Uniti. La faccenda “Chaplin il comunista” doveva essere un sassolino nella scarpa, per i signori dall’altra parte dell’Oceano.

La nomea di Humbert Humbert (il protagonista di Lolita, ndr) se la conquistò nel 1918, quando a 29 anni cominciò una relazione con Mildred Harris, un’attrice diciassettenne. Harris pensò di essere incinta, Chaplin la sposò. In realtà la gravidanza si rivelò essere un falso allarme. Ma quando Mildred ebbe davvero un bambino, questo nacque deforme e visse un solo giorno. Harris avrebbe laconicamente affermato: «La morte del nostro primogenito fu, credo, anche la morte del nostro matrimonio». E ancora: «Il signor Chaplin è un genio, e un genio non dovrebbe mai sposarsi». Il comico però ci ricascò con Lita Grey, che aveva soltanto 15 anni, quando entrò nel cast di The Gold Rush – Chaplin ne aveva invece 35. Grey rimase incinta: «Voleva che io abortissi. La sua altra offerta era quella di darmi 20mila sterline per sposare qualcun altro. L’ho detto a mio nonno, che mi rispose: “Ti sposerà, o lo ucciderò!”». Ma Chaplin sapeva che l’unione non sarebbe durata, e infatti non durò.

 

Chaplin

 

Il grande comico non aveva soltanto una vita sentimentale complicata. Anche il versante politico era piuttosto travagliato. Prima dell’FBI, i guai arrivarono con Hitler: quando Chaplin vide i famosi baffetti del dittatore, pensò che lo stesse copiando e ovviamente volle sfruttare il più possibile la somiglianza. Fu una semplice operazione di marketing, tuttavia i nazisti interpretarono gli sberleffi di Chaplin come un affronto incalcolabile. Anche Hollywood non si sentiva proprio a suo agio, con la proposta dell’attore-regista di usare il particolare dei baffetti per mettere alla berlina il leader austriaco della Germania. I produttori ebrei dicevano che sarebbe stato un disastro, non solo per gli ebrei, ma anche per la politica straniera dell’America (si era agli sgoccioli degli anni Trenta, Pearl Harbor doveva ancora venire). Chaplin perse del tutto la pazienza. Ma poi, provvidenzialmente, la notizia giunse all’orecchio di Roosevelt, il quale consigliò all’artista di procedere con il film: sarebbe stato chiamato The Great Dictator (1940).

Oltre a nazisti e FBI, anche Marlon Brando, stella di Hollywood se mai ce ne fu una, non aveva proprio simpatia per Charlie Chaplin. I due collaborarono nell’ultimo film di Chaplin, A Countess from Hong Kong (1967), in cui per altro recitò anche Sophia Loren, che affermò: «Brando non era adatto al ruolo e lui e Charlie si scontravano. Giorno dopo giorno l’atmosfera sul set peggiorava». E Brando, da parte sua, constatò: «Chaplin era un uomo che non poteva dirigere nessuno. Un talento notevole, ma un mostro di uomo». Rimandiamo al giudizio di chi consulterà con scrupolo gli archivi del comico più grande di tutti i tempi la facoltà di stabilire se il verdetto di Marlon sia stato dettato solo da ragioni personali.

Seguici sui nostri canali