L'intervista

L'astrofisico Andrea Possenti: «La mia vita fortunata di cacciatore delle stelle»

Lo scienziato trevigliese è responsabile dell’Unità scientifica di calcolo dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. «Lo desideravo fin da bambino»

L'astrofisico Andrea Possenti: «La mia vita fortunata di cacciatore delle stelle»
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di Bruno Silini

Per sei anni, l’astrofisico bergamasco Andrea Possenti è stato direttore dell’Osservatorio Astronomico di Cagliari. Poi è tornato a occuparsi di scienza, più di quanto non avesse potuto fare durante il periodo di direzione. Da poco più di un anno è responsabile dell’unità scientifica di calcolo dell’Istituto Nazionale di Astrofisica.

Quando ha capito che il cielo, le stelle, potevano essere il suo lavoro?

«Fino a poco tempo fa i ricordi erano vaghi. Poi mi è capitato di ritrovare un quaderno delle elementari di cui mi ero completamente dimenticato. Avevo chiaramente scritto che il mio desiderio sarebbe stato di guardare agli oggetti cosmici e capire il funzionamento dell’universo».

I suoi genitori l’hanno incoraggiata?

«Sono sempre stati assolutamente inclini a farmi seguire quelli che erano i miei desideri, ma senza incoraggiarmi nello specifico».

Per lo spazio ha sacrificato una passione per la cronaca sportiva del basket.

«Sacrificato forse è una parola un po’ esagerata. Però diciamo che a un certo punto è stato necessario fare una scelta. Per poter portare avanti gli studi e le ricerche è diventato evidente che bisognava dedicare tutto il proprio tempo a quello. Anche se le cronache sportive mi hanno insegnato parecchio sotto vari punti di vista».

Quanto conta la fortuna per arrivare ai suoi livelli?

«Per qualunque mestiere che si desidera fare una componente di fortuna ci vuole, nel senso che bisogna anche trovarsi nelle condizioni opportune per poter fare certe scelte nel momento in cui la scelta si può fare. Quindi io mi ritengo assolutamente fortunato nell’essere riuscito a fare quello che ho sperato e desiderato di fare fin da quando ero giovane. Poi, naturalmente, ci vuole anche costanza e pazienza».

Pazienza?

«Per poter fare il ricercatore in Italia, come mestiere, bisogna avere tanta passione, perché senza quella è difficile riuscire a vivere la lunga attesa che è necessaria prima di approdare a una posizione stabile. Il meccanismo di reclutamento in realtà pubbliche è abbastanza complicato. Ci sono programmazioni che non sono mai troppo chiare, soggette a fluttuazioni imprevedibili anno per anno. Per cui, in questo mestiere, non bisogna avere la necessità interiore di un cammino lavorativo troppo predefinito. Laurearsi, fare il dottorato, acquisire un buon numero di esperienze all’estero (essenziali per un astrofisico) non portano alla stabilità lavorativa entro sei mesi».

Mi sta dicendo che per tanti anni è stato precario?

«Sì».

Sulle scoperte sul fronte astronomico a che punto siamo? L’ultima rilevante è su quello che chiamano il “ronzio dell’universo”, legato all’intuizione di Einstein sull’esistenza delle onde gravitazionali.

«Premetto che non è possibile fare una graduatoria assoluta di scoperte fondamentali, perché esistono settori diversi di ricerca e ogni collega ha i suoi snodi più o meno importanti. Nello specifico (...)

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