Le scritte dei pastori trentini Un tesoro custodito tra le rocce
«Essendo il 12 settembre 1822 sono qui sotto a segare questo prato erto D. V.». È una delle migliaia di scritte che pastori hanno lasciato sulle rocce che confinavano con i pascoli d’altura. Iniziali del nome e del cognome, sigle, date, nomi, conteggi del bestiame, figure di animali, messaggi di saluto: un patrimonio di migliaia di segni che da qualche anno vengono censiti, per quel che riguarda il ricchissimo giacimento della Val di Fiemme dal Museo degli usi e dei costumi di San Michele all’Adige. Un impegno importante documentato sul sito e guidato da Giovanni Kezich, antropologo, e da Marta Bazzanella, etnoarcheologa.
La zona più ricca è quella attorno al Cornón è un gruppo in val di Fiemme che ospita alle sue sommità, ad una altitudine intorno ai 2mila metri, vaste praterie. Per questo da secoli è luogo privilegiato per i pascoli estivi dei contadini e pastori di Tesero, Panchià, Ziano di Fiemme e Predazzo. Compito dei pastori era allora quello di mantenere il gregge nella fascia altimetrica, sovrastante gli abitati, compresa tra gli ultimi terreni destinati alla coltivazione e quelli di quota riservati alla fienagione. Per loro erano lunghi periodi di solitudine, a custodire gli animali. Non potevano comunicare quasi con nessuno, così per molti di loro diventava uno sfogo il poter lasciare scritte e segni sulle rocce: istoriavano la roccia con un’ocra rossa che si reperisce facilmente in noduli, in varie zone dello stesso Cornón e sul Latemar.
Localmente quest'ocra viene chiamata ból. Il ból de bèsa, viene detto nel dialetto fiemmese, perché era un pigmento che serviva anche a contrassegnare le pecore. Avevano adottato una tecnica molto collaudata. Per fare sì che l’ocra rossa attecchisse e rimanesse indelebile sul supporto roccioso, i pastori mungevano un po’ di latte di pecora o di capra su di una pietra piatta dopodiché si sfregava il pezzo di ocra sulla pietra bagnata ottenendo una densa poltiglia.
Così le pareti rocciose del Cornón sono diventate per i pastori delle grandi lavagne, istoriate con oltre 30mila pittogrammi, dove ogni scritta è stata curata con dedizione artistica, perché destinata a durare e a sopravvivere agli autori. Andava quindi inserita in un suo spazio incorniciato, spesso anche molto in alto rispetto al sedime, che gli autori raggiungevano con l'aiuto di pali che fungevano da improvvisate scale o grazie agli accumuli di neve primaverili.
Le scritte in genere si compongono di iniziali. Frequentissima è l'iniziale del nome e cognome dell'autore, seguita dalle lettere FL (abbreviazione di: Fece l’anno) e dall'indicazione dell'anno, sotto o a fianco di questo compaiono spesso il mese ed il giorno e il conteggio del bestiame portato al pascolo. Qua e là ricorrono anche figure di animali, sia domestici che selvatici, scene di caccia, ritratti, autoritratti, messaggi di saluto e annotazioni diaristiche. Quasi sempre il pastore marcava il segno di casa (localmente detto noda); questi segni familiari erano molto importanti perché attestavano e distinguevano di chi fosse la proprietà delle pecore rispetto al grande gregge, a chi appartenesse la proprietà degli attrezzi da lavoro e così via.