"Like a Rolling Stone", spiegata

«La prima volta che ho sentito Bob Dylan stavo in macchina con mia madre a sentire YMCA, e poi arrivò quel colpo di rullante che risuonò come se qualcuno avesse sfondato a calci la porta della tua mente». Queste parole vennero pronunciate nel 1989 da Bruce Springsteen, in riferimento al più grande successo di Dylan, quella canzone che la rivista americana Rolling Stone, ritenuta la voce più autorevole al mondo nel campo in questione, ha decretato essere la più bella di tutti i tempi: Like a Rolling Stone. Registrata e lanciata nell’estate del 1965, cinquant’anni fa esatti, venne però pensata dal cantautore americano proprio fra marzo ed aprile, durante un viaggio aereo dall’Inghilterra agli Stati Uniti. Ma, perlomeno inizialmente, non si trattava affatto di una canzone.
La nascita della canzone. Dylan era di ritorno da una serie di acclamati concerti in Gran Bretagna: esibizioni acustiche, solo sul palco ad intonare gli inni che lo avevano reso l’astro del folk. Ma Bob era insoddisfatto, prosciugato dalla monotonia delle serate, dalla ripetitività delle esecuzioni. Questa atmosfera stagnante stava trasformando i suoi brani in canzonette, gesti ripetitivi che narcotizzavano la sua creatività con l’abitudine. Dylan, insomma, non ne poteva più della propria situazione, così arida all’età di soli 24 anni. E così decise di scrivere il suo disagio: 25 fogli di invettiva, protesta, sarcasmo, senza un fine specifico, più una sorta di sfogo, iniziato su quell’aereo e proseguito durante il successivo esilio volontario nella sua casa in campagna.
Un «lungo pezzo di vomito». Più tardi, l’avrebbe definito un «lungo pezzo di vomito». Da quelle pagine, Dylan avrebbe tratto, quasi senza volerlo, il suo capolavoro: «Non aveva un nome, era solo un ritmo messo su carta…non l’avevo mai pensato come una canzone, finché un giorno ero al pianoforte, e mi ha cantato dalla carta….era come nuotare nella lava…con le braccia appese ad un albero di betulla». Bob rimase sorpreso e sgomento per l’incredibile immediatezza e convinzione con cui tutto era accaduto: «Non avevo mai scritto niente di simile prima e all’improvviso compresi che era quello che dovevo fare. Dopo averla scritta non mi interessava più scrivere un romanzo o un dramma. Perché era una categoria completamente nuova. Voglio dire che nessuno prima aveva veramente mai scritto delle canzoni».
Una canzone nata in due giorni. Il lavoro di registrazione iniziò non appena fu possibile, e la canzone prese corpo in nemmeno due giorni, nonostante Dylan avesse in mente poco più che la melodia del ritornello. Ma in questa incertezza, nacque uno dei sound più celebri e rivoluzionari di sempre, che avrebbe cambiato la concezione della canzone pop in maniera irreversibile. Prese vita l’innovativo organo suonato da Al Kooper (il suo incarico inizialmente era quello di “ragazzo del caffè”), con uno stile mai sentito prima. Altro uomo chiave nella sessione di Like a rolling stone fu Mike Bloomfield, il quale non fu solo lo splendido chitarrista che riuscì a dare vita ai toni grotteschi e fraseggi sorprendenti tipici della canzone, ma fu anche la persona che Dylan incaricò per istruire tutti i musicisti presenti nella sessione di registrazione. È proprio da questa strada, aperta con violenza da Like a Rolling Stone, che inizieranno il loro viaggio una serie infinita di band che ispirandosi a questo capolavoro daranno vita al vero e proprio rock, così come lo intendiamo oggi.
Il contenuto della canzone. Come si accennava, tutto è nato da uno sfogo di Dylan, un rigurgito di vitalità che voleva opporsi alla monotonia desolante che lo attanagliava in quel momento della sua vita. Bob si rivolge ad un’immaginaria “miss solitudine”, che rappresenta lui e lo stacco che avverte dal mondo. Le parla con ironia tagliante, ricordandole quanto la vita fosse stata sorridente fino a poco tempo prima e invitandola ad osservare come ora anche lei ristagni in un mondo in cui è difficile anche solo stare a galla. «Come ci si sente senza una casa, come una completa sconosciuta, come una pietra che rotola?». Dylan si sente proprio così, come una pietra destinata a rotolare giù perché poggiante su una discesa che non può evitare. Uno sfogo, una protesta, un’invettiva contro tutto e tutti, che dà voce, comprende e sposa il malcontento di chiunque. Qualcosa che la successiva voce malinconica, arrabbiata, e tesa del rock anni Settanta avrebbe fatto propria. Fu un big bang, musicale e concettuale, una sorta di caos primordiale da cui sarebbe rinato e ricominciato tutto. Oggi, nel 2015, possiamo dirlo con certezza: 50 anni fa venne rivoluzionata la musica.