L'intervista

L'impresa di don Mario Carminati a Seriate, dove bisogna farsi in cinque per restare unici

«Ognuna delle zone pastorali ha una propria chiesa e una propria identità. La fatica è essere un’unica comunità senza spegnere le realtà locali»

L'impresa di don Mario Carminati a Seriate, dove bisogna farsi in cinque per restare unici
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di Bruno Silini

La parrocchia di Seriate è protagonista di una edificazione di case a prezzi calmierati. In pratica, il campo di calcio inutilizzato di San Giuseppe (dove nella chiesa si erano messe le bare dei defunti per Covid, in attesa di essere cremati) verrà alienato con l’idea di realizzare un progetto sociale. La regia è del parroco: don Mario Carminati.

Ci spiega meglio?

«In sintonia con il Consiglio pastorale, le nostre intenzioni sono coincise con quelle di Acli Casa. Insieme abbiamo realizzato un progetto di costruzione di tre palazzine non troppo alte, di nove abitazioni ciascuna, a prezzi bassi per facilitare l’acquisto della prima casa alle giovani coppie. Inoltre, sempre nel campo dovrebbero sorgere altre due palazzine che ospiteranno (c’è già l’approvazione del Comune) delle cooperative sociali per portatori di handicap e per il recupero di persone incidentate».

Il campo di calcio inutilizzato di San Giuseppe, a Seriate

C’è un po’ di malcontento a sinistra?

«La parte più minoritaria in Consiglio comunale ha votato contro. Una presa di posizione che ho trovato strana, poiché si tratta di tematiche sociali che dovrebbero essere nelle corde di quell’area politica».

E la motivazione della contrarietà qual è stata?

«Non lo so. Bisogna chiedere a loro. Ho l’impressione che sia un po’ ideologica la cosa».

Si dice che Seriate sia una città senza più un centro. È vero?

«Un centro storico c’era: piazza Bolognini. Però è stato abbandonato. Scelte di tanti anni fa. Hanno costruito altrove il nuovo municipio, sono venuti via i carabinieri... Quindi il centro originario si è svuotato completamente, nonostante sia la zona più bella della città, anche dal punto di vista artistico con la bella chiesa antica».

Siete la parrocchia più grande della Diocesi, quasi 26 mila anime. Non è mai sorta la tentazione di frazionarla?

«Sull’argomento fu chiesto un parere al cardinal Martini, quando stava nascendo Paderno e si pensava di costituire una nuova parrocchia».

Martini cosa rispose?

«Ci disse di tenerla così, che sarebbe stata la parrocchia del futuro. E aveva ragione, perché ormai stiamo vivendo una stagione di accorpamento di parrocchie, non di divisione».

Si accorpa perché scarseggiano i preti?

«Certamente, questa è una delle ragioni. Poi c’è una volontà di cambio pastorale in una realtà dove la cultura delle persone e la visione dell’uomo sono cambiate. Contestualmente, le parrocchie assumono tutto un altro volto. Già nel 1969 Papa Ratzinger (allora docente di Teologia dogmatica a Tubinga, ndr) prefigurò, con lucida lungimiranza, uno spopolamento in termini di adesione alla vita parrocchiale, tornando per certi versi alle comunità originali, quasi familiari, da dove sarebbe rinato un altro volto di chiesa e di comunità. Oggi a Seriate un numero consistente di famiglie italiane non fa battezzare i propri figli. Durante funerali e matrimoni (celebrazioni che richiamano persone lontane dagli appuntamenti liturgici) si assiste a scene incredibili: gente che non risponde alle invocazioni del prete, che non canta, che resta seduta dall’inizio alla fine della Messa come se si trattasse di un ambulatorio medico».

Nella pratica come si lavora a Seriate?

«Non c’è mattina che non abbia qualcosa di cui occuparmi che riguarda le cinque zone della nostra parrocchia (Luce, Comonte, Risveglio, San Giuseppe e Serena, ndr), ognuna con una propria chiesa e una propria identità. La fatica però non si declina con le incombenze quotidiane, bensì con il tenere insieme il “centro”, ovvero la capacità di essere un’unica comunità senza però spegnere le realtà locali. Il progetto che citavo di San Giuseppe non riguarda solo quella zona, ma si cammina come parrocchia in quella direzione».

Un compito arduo?

«Ci sono gli appuntamenti a livello centrale che celebriamo tutti nella chiesa madre: i battesimi, i funerali, la veglia di Natale e il Triduo pasquale».

Avete fatto fare la chiesa di Paderno al Botta e non ci fate la Pasqua?

«No, non si fa la Pasqua. Lì facciamo altre celebrazioni, come per esempio le prime confessioni oppure i quaresimali. L’attenzione è mantenere delle specificità per ogni nostra chiesa».

La gente capisce queste specificità?

«Comincia a capirle, anche perché tra poco non ci saranno più neanche i preti di zona».

Quanti preti operano a Seriate?

«Siamo in otto, di cui uno è cappellano dell’ospedale (don Marcello). Due sono quelli, scherzosamente, della legione straniera. Abitano nella stessa casa: uno è russo (don Vladimir) e uno è africano (don Denis). Il primo segue l’area ortodossa che ruota attorno al santuario della Madonna del Buon Consiglio (zona Serena); il secondo si occupa della comunità francofona bergamasca e dà una mano anche all’Ufficio migranti. Poi ci sono don Fabiano (oratorio), don Leonardo (San Giuseppe e catechesi a Comonte), don Alberto (zona Risveglio) e don Mirco a Comonte».

Come vi coordinate?

«Ogni martedì abbiamo una riunione: dalle 10 alle 13.30 si fa programmazione. È un appuntamento sacro, senza programmazione è difficile tenere il ritmo. In una riunione di maggio abbiamo programmato tutto l’anno fino a settembre 2026».

Ma la confessione e la comunione ai malati, casa per casa, si fa ancora?

«Andiamo da chi ci chiama». (...)

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