Si chiama Tristan da Cunha

L'isola più isolata del mondo (Eppure sono felici di abitarci)

L'isola più isolata del mondo (Eppure sono felici di abitarci)
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Nelle estremità meridionali dell’Oceano Atlantico la deriva dei continenti ha lasciato quattro piccole zolle, quattro isole molto indipendenti e per nulla disposte ad unirsi al resto delle terre emerse. Insieme formano l’arcipelago di Tristan da Cunha, nome della “sorella” più grande. Le altre tre sono Inaccessible, Nightingale e Gough. L’isola ammiraglia, Tristan da Cunha, è uno scricciolo di 98 chilometri quadrati, posto a 2 172 chilometri da Sant’Elena e a 2 432 chilometri da Città del Capo, in Sudafrica. L’isola più isolata del mondo è raggiungibile solo tramite un viaggio in barca di sei giorni, dal Sudafrica. Si capisce che l’arrivo della barca, unico modo con cui l’isola è in contatto con il resto del mondo, costituisce un evento di grande importanza per la popolazione locale, che a mala pena raggiunge i trecento componenti (270, per l’esattezza). Gli abitanti si dedicano prevalentemente al commercio di gamberi e aragoste, oltre  che alla vendita di francobolli e monete a sporadici collezionisti. La vita nell’unico centro dell’isola, Edimburgo dei Sette Mari (dalla visita del Principe Alfred di Scozia, nel 1867) segue ritmi precisi. All’alba le donne escono dalle loro case e si occupano della mungitura; i secchi di latte vengono distribuiti a tutte le famiglie e agli anziani. Su Tristan da Cunha non esistono conflitti o casi di abbandono sociale: la piccolezza del territorio e la lontananza dal resto della civiltà ha contribuito a rafforzare i già forti legami di solidarietà.

 

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Gli Annali di Arnaldo Faustini. La peculiare posizione geografica di Tristan da Cunha ha solleticato la curiosità di svariati cartografi, esploratori e avventurieri che in epoche più o meno recenti hanno scritto dei resoconti sulla storia e le particolarità del luogo. Tra la bibliografia dedicata all’isola spicca il volume composto dall’editore del Tristan Times, Allan Crawford, pubblicato con il titolo di Tristan da Cunha and the roaring forties nel 1982, a Londra [i “ruggenti quaranta” si riferiscono ai venti furiosi che soffiano oltre il quarantesimo parallelo, ndr]. Ma l’opera più esaustiva è stata scritta – udite, udite – da un italiano, precisamente da Arnaldo Faustini, nato a Roma nell’anno di grazia 1872. Il Faustini è stato una celebrità ai suoi tempi, giacché si meritò la fama di primo italiano specialista d’Antartide. Nel 1915 andò negli Stati Uniti per tenere una conferenza e non fece mai più ritorno in patria, avendo sposato una ragazza americana. Ora, pare che tale Faustini fosse un appassionato della nostra isoletta atlantica e agli inizi del Novecento si cimentò nella stesura di annali molto dettagliati. Il manoscritto rimase chiuso in qualche cassetto per numerosi anni, fino a quando nel 1990 la figlia di Faustini, Liz Nyswen, trovò il libro e lo fece trascrivere a Larry Conrad, pilota dell’Antartic Development Squadron dell’aviazione statunitense.

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L’isola è tenuta a battesimo (da un portoghese). Il buon Faustini non resistette alla tentazione di riportare fatti che sono più vicini alla leggenda che alla realtà, ad esempio parlando di un certo capitano Patten che sarebbe sbarcato sull’isola nell’Ottocento. Patten è un personaggio tratto dalle Avventure di Arthur Gordon Pym, di E. A. Poe, ed è molto probabile che non sia mai esistito. Ma a parte queste sporadiche concessioni all’estro della letteratura, il lavoro di Faustini è stato estremamente accurato e scrupoloso ed è grazie a lui che ora sappiamo ciò che sappiamo sulla storia di Tristan da Cunha. Sappiamo, nello specifico, che il nome dell’isola deriva dal capitano portoghese Tristao da Cunha, che nel 1506 s’imbarcò agli ordini di Alfonso de Albuquerque, primo Viceré delle Indie Portoghesi. Durante il viaggio verso Oriente, la flotta fu colpita da una violenta tempesta presso il Capo di Buona Speranza e la nave di Tristao approdò su una piccola isola disabitata, se si eccettuano foche, leoni marini, albatros e i pinguini Rockhopper dallo sguardo tigresco. Il capitano portoghese ripartì appena terminato il fortunale, tuttavia non mancò di assegnare il suo nome alla terra su cui aveva posato i piedi.

 

 

Un re improvvisato. Dall’inizio del Cinquecento fino all’Ottocento si verificarono radi tentativi da parte ora degli Olandesi, ora degli Inglesi, desiderosi di porre la loro bandiera sull’isola, ma per molto tempo gli sforzi dei due paesi furono vanificati dal maltempo. L’anno fortunato capitò nel 1811, quando il britannico Peter Heywood, in rotta verso la Cina, si fermò a Tristan da Cunha. Con sua grande sorpresa, vi trovò tre esseri umani, che rispondevano al nome di Jonathan Lambert, Tommaso Corri di Livorno e un certo marinaio Williams. Dicevano di essersi spinti fin lì a caccia di foche. Foche o no, il 18 luglio dello stesso anno uscì un proclama sulla Boston Gazette, nel quale Mr. Lambert si autonominava re dell’arcipelago e ribattezzava Tristan come Island of Refreshment – era sua intenzione, infatti, dedicarsi al rifornimento delle navi di passaggio.

Arrivano gli inglesi. Ma la tranquilla isola aveva suscitato l’interesse degli inglesi, che nel 1811 avevano un po’ di grattacapi a causa di un generale corso, poi diventato francese, il quale aveva maturato l’hobby di conquistare grandi fette d’Europa come se giocasse a una partita di polo. Napoleone Bonaparte. Certo, nel 1811 l’Imperatore era impegnato con i Russi, ma i britannici sapevano essere previdenti e sapevano che avere un avamposto nel bel mezzo del nulla poteva essere un vantaggio incalcolabile. Si diedero da fare e nel 1816 stabilirono una guarnigione sull’isola: giusto in tempo per tenere d’occhio Bonaparte, trasferito con la forza sull’Isola di Sant’Elena (che - appunto - faceva parte di un arcipelago di dominazione britannica comprendente anche Tristan e l'Isola dell'Ascensione).

 

 

William Glass, padre fondatore. Tristan da Cunha non aveva alcun centro abitato, a parte gli accampamenti provvisori e la guarnigione militare. A questa mancanza pensò lo scozzese William Glass, che convinse il duca di Glouchester a cercare donne su Sant’Elena disposte a trasferirsi a Tristan. Da parte sua, Glass contribuì allo sforzo generale portando con sé la moglie Maria Magdalena Leenders, sudafricana. Lo scozzese, quindi, non solo fu il fondatore della comunità di Tristan da Cunha, ma fu anche il capostipite della prima delle sette famiglie che tutt’ora popolano l’isola. Le altre sei nacquero nel corso degli anni, grazie ad approdi di olandesi e inglesi. Ma è la storia degli ultimi due clan a interessarci, poiché ci riguarda da vicino. Correva l’anno 1892, quando il brigantino Italia salpò dalla Scozia con un carico di carbone da portare a Città del Capo. Durante la navigazione, tuttavia, la merce trasportata prese fuoco per le alte temperature equatoriali e la ciurma, capitanata da Francesco Rolando Perasso, fu costretta ad abbandonare l’imbarcazione e a ripiegare su Tristan da Cunha. Nel 1893 comparve all’orizzonte una nave disposta a dare loro un passaggio, ma due marinai decisero di restare sull’isola per amore. Si chiamavano Gaetano Lavarello e Andrea Repetto, entrambi di Camogli.

Un amore di isola. Da allora, su Tristan da Cunha non si fermò più nessuno. Le sette famiglie sono molto legate alla patria eletta dai loro antenati e non hanno alcuna intenzione di trasferirsi. Nel 1961, ad esempio, ci fu una violenta eruzione del vulcano Queen Mary e la popolazione fu costretta ad evacuare nel Regno Unito. Ma passata l’emergenza, nel 1963, tutti fecero ritorno a Tristan da Cunha. A casa.

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