L’ultimo viaggio di Trento Longaretti L'artista che dipingeva i viandanti
Aveva compiuto 100 anni il 27 settembre scorso con una grande festa al Museo Bernareggi, dove era stata allestita una retrospettiva sul suo lavoro. Lui era arrivato appoggiandosi ai suoi bastoncini, lo sguardo acuto, il sorriso dolce e la voce dall’intonazione quasi musicale nel suo incedere come un pennello delicato sulle cose del mondo. E il mondo, quello dell’arte ma non solo, è in lutto per Trento Longaretti, nato a Treviglio nel 1916. Era ricoverato alla Clinica San Francesco da qualche giorno ed è stato trasferito all’Hospice di Bergamo dove è morto stamattina. Non ancora note le date dei funerali: forse si terranno nella chiesa del cimitero di Bergamo, da lui stesso affrescata.
Un talento naturale. I suo natali sono in un’Italia irridentista, durante la guerra, che spiega anche perché il padre Alessandro, fabbro, scese quel nome per lui. In un’intervista ha spiegato come e perché si è dato alla pittura: «Fin da ragazzino avevo rivelato talento nel disegnare. Mi iscrissi a Brera, dove frequentai prima il Liceo artistico, poi l’Accademia. Qui avvenne l’incontro, fondamentale, con Aldo Carpi: maestro di vita, prima ancora che di pittura. Presto diventammo amici: lui, io, ed alcuni dei miei compagni di corso, che rispondevano ai nomi di Cassinari, Morlotti, Bergolli, Kodra, per non citarne che alcuni. Fu un periodo straordinario, di enorme fermento. Carpi – che aveva per assistente un bravo artista oggi purtroppo dimenticato, il bresciano Felice Antonio Filippini, autore di strepitose nature morte d’influsso morandiano – ci correggeva pochissimo. Più intellettuale che tecnico, riuscì a instillare in noi quel concetto di libertà della pittura che ciascuno di noi avrebbe poi portato con sé come preziosa eredità lungo il proprio cammino creativo, sviluppatosi per strade diverse (e che ho cercato di far mio anche quando, per un quarto di secolo, dal 1953 al 1978, ho diretto l’Accademia Carrara)».
Longaretti, Dieci maschere, 2000
Longaretti, Soldato del Genio ferrovieri, 1942
Simpatia per gli ultimi. Non ha mai conosciuto la vera povertà. Almeno così raccontava: «Nella casa di Treviglio c’era un granaio, una stanza sotto il tetto, che mi era stata concessa come studio e dove potevo dipingere liberamente. Tuttavia, la mia simpatia va agli ultimi. È sempre stato così. Certo, qui conta molto la fede. Io sono religioso, guardo al Vangelo come fonte di verità. Credo, insomma, in questa grande utopia. Ma detesto il populismo».
Rosso, madri e viandanti. Ha dato prove interessanti nei quadri monocromi, Longaretti. Non amava il giallo, il colore dei Girasoli di Van Gogh. Il blu lo tollerava solo se lontano dal verde, preferibilmente tendente al viola. Ma il rosso era il suo preferito anche se Aldo Carpi, era contrario all’uso di questo colore. «Era un liberale anti-comunista. Il rosso non gli piaceva. Carpi era ebreo. È scampato al campo di concentramento di Mauthausen», ha raccontato. Ha dipinto tante madri, perché quello della madre – sosteneva - è l’amore più vero, l’espressione più alta di quel sentimento. Ne ha dipinte centinaia. E poi i viandanti, «figure inclinate, obliquamente tese in avanti, inquieti errabondi in cerca di chissà quale meta. Il viaggio può essere, di volta in volta, fuga dal dolore – questione sempre di tragica attualità, come ci confermano le cronache quotidiane – o individuale arrovellarsi verso nuovi orizzonti, nuovi significati. Il viaggio è poi metafora dell’esistenza di ciascuno di noi: un viaggio purtroppo breve, ma denso di fascino e – per chi è credente – anticamera di un’altra vita».
Il docufilm su di lui. Alberto Nacci gli ha dedicato un bellissimo docufilm: Trento Longaretti: Il concerto. Un’opera costruita su un’idea: Longaretti che sogna di festeggiare il suo centesimo compleanno con un concerto all’interno della Carrara, dove ha insegnato per vent’anni, e di cui è stato anche direttore prima che ne venisse nominato uno specifico per il ruolo come Francesco Rossi. «Ho avuto la fortuna di vivere e lavorare a lungo – racconta l’artista nella pellicola -. La musica ha accompagnato il mio lavoro silenzioso da pittore. Musica classica, che mi suggeriva cose belle, che io cercavo di riportare sulla tela. E festeggiare tra i capolavori di Raffaello, Tiziano, Tintoretto e Mantegna sarebbe bellissimo».
La musica nel film c’è, di Otto Sieben, mentre la sinfonia del narrare passa dalle testimonianze del mondo dell’arte: dal collezionismo con Nicola Capogrosso al mercato con il gallerista Giovanni Bonelli; dall’arte antica con il conservatore dell'Accademia Carrara Giovanni Valagussa all’arte moderna con il critico e storico Carlo Pirovano. Oltre agli ex-allievi, l’artista Mariella Bettineschi e l’architetto GianMaria Labaa. « La sua grandezza va oltre la sua opera – dice Labaa -. Il suo rispetto e attenzione per l'altro è stato per me fondamentale, e ho cercato di esserne all'altezza. Le cose che ho fatto - mi sono occupato più di restauro, editoria, ricerche storiche, grafica – sono state segnate dal suo insegnamento. Ha dato un’impronta decisiva al mio percorso». «Le sue composizioni hanno la misura di un Boccioni e di un Klee – aggiunge Pirovano -. Le sue opere mi danno gioia».