L'intervista

L'organista Alessandro Chiantoni: «Vivere di sola musica? Si riesce, a patto che...»

«Oltre allo studio specifico occorre investire in visibilità, le opportunità (nascoste) ci sono e insegnare ai ragazzi non è affatto un ripiego»

L'organista Alessandro Chiantoni: «Vivere di sola musica? Si riesce, a patto che...»
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di Bruno Silini

Sempre molto attivo, Alessandro Chiantoni investe tempo ed energie nel migliorare e aggiornare il suo repertorio di organista, con l’obiettivo che sia il più vasto possibile. Il suo mantra è moltiplicare le competenze per moltiplicare le possibilità.

Oggi un giovane riesce a vivere di sola musica?

«Si riesce. Ovviamente non è la cosa più semplice del mondo. È possibile facendo delle buone scelte o tentando di fare le scelte migliori possibili e mantenendo gli occhi aperti su quelle che sono le opportunità, molto spesso nascoste, che il mondo della musica può offrire. Oltre allo studio dello strumento, occorre investire in una componente, diciamo, di visibilità. Saper suonare bene è imprescindibile, ma occorre anche farlo sapere in giro».

A Sant’Anna pagano bene?

«È un incarico retribuito. Certamente all’estero la busta paga a fine mese è diversa; un mio caro amico e collega belga ha compensi molto più alti. Qui da noi, in generale, si è retribuiti poco».

Come arrotonda?

«Oltre ai concerti in Italia e all’estero, quest'anno per esempio ho insegnato organo al liceo musicale Secco Suardo. È stata una bella opportunità».

Cosa significa insegnare organo a dei ragazzi?

«È un liceo a tutti gli effetti, dove alle materie consuete si aggiungono discipline prettamente musicali: teoria musicale, analisi e composizione, una sintesi di quello che nei conservatori sarebbe solfeggio e armonia».

Sul lato pratico: alla fine del liceo, gli studenti sanno suonare l’organo?

«Se studiano, sì. Diciamo che il liceo musicale e poi il conservatorio stanno in rapporto tra di loro come un liceo tradizionale sta poi all’università. I ragazzi maturano delle abilità musicali che potranno poi impegnare in conservatorio».

Insisto: riuscirebbero a sostenere una messa domenicale in una qualsiasi parrocchia?

«Ci sono già studenti che lo fanno».

L’insegnamento è un ripiego quando altre strade sono precluse?

«Assolutamente no. L’insegnamento è strettamente collegato alla disciplina musicale».

Jean-Baptiste Monnot cosa le ha insegnato di nuovo che ignorava?

«È un musicista straordinario. Da lui ho appreso la consapevolezza. È infatti necessario giungere alla consapevolezza di se stessi e delle proprie idee, anche nella musica, ed esprimerle con forza. Diventa questa la chiave per superare le difficoltà tecniche ed espressive dei brani. La musica non viene mai da fuori, ma nasce dentro l’animo umano e bisogna trovare il giusto modo per esprimerla (...)

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