Luca, da Borgo Palazzo al mondo a suon di calci, pugni e testa
Giocava a basket, «ero bravino». Poi scoprì di essere forte in un altro sport, e non lo ha più lasciato. Luca Mameli, 24 anni, la kickboxing ce l’aveva dentro, nel sangue, nel cuore, nei calci e nelle mani. «In seconda superiore non avevo uno sport che mi piacesse davvero, provai ad andare in palestra, capii che per la kickboxing ero portato. Ho iniziato a fare le prime gare, a fare sul serio, poi sono entrato nella nazionale juniores, mi sono preso una medaglia d’argento a Bratislava, al mondiale, e sono passato senior. Se mi fossi impegnato così nella pallacanestro, chissà...». Luca combatte per la Supreme Fighting Team, la società guidata da Elio Pinto, dt della nazionale italiana juniores e campionissimo di questo sport. È con lui che giovedì 16 maggio, a Budapest, Mameli si è preso il bronzo nella specialità a contatto pieno K1 dopo avere passato gli ottavi e i quarti di finale battendo il fortissimo ucraino Sabar Kostiantyn. Era la Wako Hungarian World Cup, tappa delle competizioni World Series di kickboxing. Insomma, uno degli eventi di spicco di questo sport.
«Quelli che salgono sul ring hanno tutti paura, quella è la prima cosa. Poi si comincia a combattere, e la paura te la dimentichi. Subentra altro: la voglia di divertirti, di dare il massimo, di vincere. Il primo incontro però me lo ricordo con tantissima foga, volevo esagerare, e ho esagerato. Era finito pari». Non è mai più successo. Già campione italiano di questo sport, Luca è di Borgo Palazzo, ha 24 anni. Il suo papà Giancarlo insegna inglese, invece mamma Tiziana fa l’impiegata. All’inizio avevano detto boh, vediamo che succede, poi videro Luca felice e che portava a casa risultati di prestigio, e adesso anche loro si sono convinti che la kickboxing è lo sport perfetto per il loro figlio. «Non hanno fatto in tempo a preoccuparsi, o forse un po’ sì, ma hanno visto i risultati e, soprattutto, che io sono uno che sta molto attento a quello che fa. Ora sono contenti». D’altra parte, Luca è un ragazzo fiero, sicuro di sé. Gli chiedi gli obiettivi e ti risponde senza pause: «Vorrei vincere un titolo europeo o un titolo mondiale. Sono certo che lo vinceremo, sono certo che lo vincerò. È un sogno che si realizzerà. Easy». Per fare questo sport devi avere la corazza sull’anima e tanta, tantissima testa. «La testa conta più di tutto. E se non c’è quella non arrivi da nessuna parte. Puoi avere tutta la preparazione che vuoi, a livello atletico e tecnico, ma se la testa non è collegata, se non sei convinto di quello che fai, allora è meglio che lasci perdere. Ho lavorato molto su questa cosa. Sono convinto che l’atleta non debba fare nulla controvoglia». La testa c’è, e poi lui il corpo è uno che lo studia. Il suo lo ha tenuto immacolato, «no tattoo come Cristiano Ronaldo», sorride. E poi aggiunge: «Arrivato alla mia età non ho mai avuto niente di interessante da scrivermi addosso. Con gli amici ci scherzo sempre: sono l’unico lottatore non tatuato».
Aveva fatto tutti i test all’università: Scienze Motorie, Dietistica, eccetera. «E li avevo passati tutti, poi però ho scelto Massoterapia: l’unica in cui il test non serviva. L’ho scelta perché mi sembrava perfetta per me, e avevo ragione. Adesso studio Osteopatia, e mi sono appassionato alla fisiologia del movimento. Sul tablet disegno le strutture muscolare, le fibre, mi piace l’anatomia, sono davvero appassionato». Sta aprendo il suo studio di massoterapia e di osteopatia a Bergamo, e ha già diversi sogni nel cassetto: «L’ideale sarebbe insegnare e avere un team, vedremo. Nel frattempo porto avanti tutto quello che sto facendo». A Budapest l’hanno accompagnato in quattro. C’era il suo coach Pinto, e poi tre compagni di squadra: Jonathan Previtali, Manuel Rocchetti e Sofia Camozzi. «La cosa bella è che questa è una squadra vera, un team, facciamo molto gruppo anche se poi è uno sport individuale». A ottobre Luca andrà a combattere a Sarajevo, dal 19 al 27 lì ci saranno i campionati del mondo e lui parteciperà nella categoria -63,5 kg. Il futuro è lì, basta afferrarlo. Anche se poi Luca osserva le cose un po’ più in là, guarda più lontano: «L’Olimpiade è la competizione che vorrebbero fare tutti». La kickboxing, chissà, magari un giorno diventerà uno sport olimpico. Per ora si gode i successi, tutti prestigiosi. «I miei primi idoli? Giorgio Petrosyan e Anderson Silva. Li cercavo su YouTube anche se la connessione non era granché. Passavo ore e ore a guardarli, a guardare quei video, e poi cercavo di imitarli in palestra. All’inizio male, ovviamente. Un altro idolo è il pugile Vasyl Lomacenko. Guardo tanto anche la boxe. Il combattimento è tutto, è un modo di confrontarsi ad armi pari, per quello mi è sempre piaciuto. Perché quando combatti non puoi aggrapparti alla fortuna o alla sfortuna, non può favoriti nessuno. Il più forte vince».