un'impresa nell'aria

Luke, quel matto che si è buttato da 7.620 metri senza paracadute

Luke, quel matto che si è buttato da 7.620 metri senza paracadute

Volare oh-oh. E poi precipitare. Nel blu dipinto di blu. Senza paracadute, senza paura. Beato Luke Aikins, 42 anni, uomo bianco di Seattle, paracadutista da generazioni. Da lassù si buttava il nonno, il papà, persino la moglie se l’è scelta paracadutista. Un fissato. Che qualche giorno fa ha deciso di tentare la solita impresa pazza: si è buttato da aeroplano salito a 7.620 metri di altezza sopra una zona desertica del Sud della California. Con lui c’erano anche tre compagni. Luke si è buttato da lì con addosso poche cose, una maschera d’ossigeno, un Gps e una trasmettente audio. Ma cose che potessero rallentare la corsa sfrenata verso la terra, beh, nessuna. Tutto qui? Fermi. Per rendere il gioco ancora più difficile Luke doveva centrare una specie di rete gigante, una di quelle che si usano sui pescherecci, 30 per 30, ancorata da quattro gru a 60 metri dal suolo. Abbastanza perché Luke non si schiantasse. Facile, no?

 

 

Peccato che qualche mese prima dell’impresa Luke avesse visto un manichino di 91 chili sfondare la stessa rete, il manichino sfracellarsi al suolo, e amen. «I test servono a questo, no?». Allora i suoi collaboratori hanno alzato un po’ di più le reti, hanno misurato, calcolato, ipotizzato, pregato. Alla fine Fox tv ha trasmesso tutto quanto, quattro ore di diretta come solo gli americani sanno fare. Quattro ore. Due minuti il volo di Luke. Che a 4.500 metri dal suolo si è tolto la maschera d’ossigeno iniziando la discesa verso la terra tutto solo. Fin lì, infatti, ad accompagnare Luke c’erano anche gli altri, ma a quel punto i loro paracadute si sono aperti perché così era stato deciso. Prima di salire sull’aeroplano Luke aveva pensato di portarsi una vela, una sorta di telo d’emergenza, ma poi all’ultimo ha deciso di lasciarla lì.

 

 

Due minuti a folle velocità, due minuti in cui Luke sul suo Gps guardava la posizione, la rete da centrare. Sotto di lui intravedeva solo le luci rosse posizionate intorno alla rete e una verde messa nel centro per facilitare (almeno un po’) il compito del paracadutista senza paracadute. Da lassù Luke aveva un’altra vista del mondo, e quei segnali luminosi sono stati la sua rotta per la salvezza. A 193 chilometri all’ora, nel cielo liquido e impalpabile, Luke si è aggrappato al coraggio. E quel che è peggio, Luke lo sapeva già prima di buttarsi: per evitare di spezzarsi le braccia e le gambe sarebbe dovuto atterrare di schiena, in una posizione rannicchiata, in modo da ripararsi un po’. È andata proprio così. «È incredibile. La mia vita è sempre stata fatta di aria, aviazione, voli, salti e cose del genere», ha detto. E più di un pizzico di follia, anche.