L'uomo che dipinge con il sole
Si è conclusa la settimana scorsa alla Tam-Awan Village Gallery di Baguio, nelle Filippine, una mostra certamente unica nel suo genere. Sotto il titolo Ukay-Ukay II (dovrebbe voler dire “Mercatino dell’usato II”) il pittore solare Jordan Mang-Osan ha presentato 70 opere tra sculture di piccole dimensioni, disegni solari, pirografie, xilografie, resine e schizzi.
Avviso: “solare” in questo caso non si riferisce né al carattere dell’artista né alla qualità delle sue opere, ma al modo della loro produzione. Mang-Osan, infatti, è noto soprattutto per il fatto di realizzare i sui capolavori bruciando la superficie di una tavola con una lente che espone ai raggi solari. Nei video e nelle fotografie che lo riprendono al lavoro appare munito, sotto il cappuccio di una felpa, di occhialoni neri perché - come sanno perfettamente coloro che in qualche periodo della loro vita hanno incendiato della paglia o mandato arrosto vespe, tafani o cimici con lo stesso sistema - il punto in cui si concentra il calore solare (il fuoco della lente) è di una luminosità che è bene non fissare nemmeno per un secondo. Mang-Osan invece, al sicuro dietro i suoi vetri da ghiacciaio o da saldatore, muove lentamente per ore la sua mano lenticolata per far sorgere dal legno paesaggi della sua isola (Luzon), volti di persone, scene di culto, immagini nate nella fantasia abbeveratasi alle tradizioni del suo popolo martoriato.
Jordan è infatti un Igorote, un indigeno delle montagne. Agli inizi del secolo scorso parte della sua gente, trasportata in dispregio di ogni senso di umanità a New York, Londra o Tokyo da alcuni bracconieri privi di scrupoli, fu esposta per anni seminuda negli zoo, al pari di bestie rare catturate nelle giungle del Pacifico o nella savana. Erede dei sopravvissuti alla deportazione, il nostro artista iniziò la sua carriera a 19 anni utilizzando materiali di recupero - da qui, forse, il titolo della mostra - sotto la guida del suo maestro e mentore Santi Bose, che gli svelò tutti i segreti legati alla lente e a qualsiasi altro strumento (il saldatore elettrico, per esempio) atto a lasciar segni bruni o neri nel legno, sulla gomma o altro che si potesse trovare. Pluripremiato nel suo paese, nel 1996 avviò la Tam–Awan Village & Chanum Foundation seguendo il sogno di far nascere, nella nebbiosa Banguio (la città capoluogo della regione in cui si trova Bayabas Pico - La Trinidad, Benguet, in cui è cresciuto e vive attualmente con la famiglia) una comunità di artisti che mantenesse viva la tradizione degli antenati. Ai quali - si potrebbe dire - comincia ad appartenere anche lui perché, per quanto giovane (del ’67), è già felicissimo nonno.
Che dire delle sue opere? Niente: parlano da sole, una volta saputo come e da cosa vengono fuori. In una parola? Impossibili.