L'opera ritrovata

Valagussa, l'uomo che ha regalato un Mantegna a Bergamo

Valagussa, l'uomo che ha regalato un Mantegna a Bergamo
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Giovanni Valagussa lavora a Bergamo dal 2001, è sposato con due figli. Fine conoscitore dell’arte medievale e rinascimentale, è una persona schiva, modesta. È nato a Milano nel 1963. Si è laureato in Lettere alla Cattolica di Milano con specializzazione in Storia dell’Arte, correlatore della sua tesi di laurea fu Miklòs Boskovits. Ha poi studiato alla Fondazione Roberto Longhi di Firenze con Mina Gregori e quindi ha ottenuto il dottorato di ricerca a Torino con Giovanni Romano. È conservatore della pinacoteca dell’Accademia Carrara e docente all’Università Cattolica di Brescia dove insegna Museologia. Dopo la laurea, Valagussa ha insegnato per un breve periodo nelle scuole superiori a Milano, poi ha vinto il concorso come conservatore del Museo Civico di Cremona. Quindi è stato scelto in qualità di conservatore dell’Accademia Tadini di Lovere dove ha lavorato per due anni «con grande piacere», come lui stesso afferma. Ha partecipato al concorso della Carrara per un posto di conservatore nel 2001, concorso voluto dall’allora direttore Francesco Rossi. Valagussa lo vinse. Ha curato diverse mostre della Carrara, sia a Bergamo che all’estero.

 

Che cosa ha provato nel momento in cui si è reso conto che aveva riscoperto un dipinto di Andrea Mantegna?

«Ci sono stati due momenti particolari in cui ho provato un’emozione intensa. Quando ho notato che sul fondo del quadro c’era una crocetta dorata, piccola piccola, identica a quella che stava in cima alla lancia che il Cristo risorto brandiva, nella parte alta del quadro. Che cosa ci faceva, là in basso, una minuscola e sola crocetta dorata? In quel momento ho pensato che quella che avevo davanti agli occhi poteva essere parte di un dipinto più grande. Ecco, quando me ne sono reso conto ho provato una specie di vertigine».

L’altro momento?

«Questa non è stata una scoperta improvvisa, come un archeologo che scava e trova una moneta d’oro. È stata una ri-scoperta progressiva, partita da alcuni indizi. Però il secondo momento forte si è verificato il giorno dopo. Stavo andando a Brescia in auto per tenere la lezione del corso di museologia agli studenti di Lettere dell’università Cattolica. Pensando, mi è venuto in mente che avrei dovuto cercare in Internet la parte che mancava al quadro in Carrara».

In Internet?

«Sì, la rete è una grande risorsa anche per noi, almeno come primo approccio. Ho pensato che, di solito, le resurrezioni stavano nella parte alta dei dipinti mentre in quella bassa venivano raffigurate le discese al Limbo. Così sono tornato alla Carrara e in Internet ho cercato un quadro della Discesa al Limbo - senza Resurrezione - e l’ho trovato: un’opera di Andrea Mantegna dove era rappresentata soltanto la Discesa... un quadro privo di Resurrezione... con Photoshop ho fatto in modo che l’immagine si rapportasse con la fotografia scattata al nostro quadro, in maniera che l’accostamento dei due dipinti rispecchiasse la realtà delle loro misure...».

 

[Resurrezione di Cristo del Mantegna all'Accademia Carrara di Bergamo]

 

E che cosa ha visto?

«Ho visto combaciare perfettamente le tele. Ho visto che la crocetta che se ne stava piccolissima e da sola nella parte bassa del nostro dipinto altro non era che la punta dell’asta che portava Cristo nel Limbo... i due dipinti erano il perfetto completamente l’uno dell’altro. Anche la le rocce che vedevo dipinte nell’opera che abbiamo in Carrara, continuavano in basso, andando nell’altro quadro a formare la grotta che rappresenta l’ingresso del Limbo... ecco, in quel momento ho provato un’emozione davvero forte».

Dove si trovava?

«Ero nel mio ufficio, al quarto piano del complesso dove si trova anche la Gamec. Il deposito dei dipinti è al quinto piano, sopra di me. Li stiamo rivedendo e schedando tutti per il catalogo in preparazione. Ero lì, davanti al computer, da solo».

E poi?

«E poi mi sono venuti tutti i dubbi del mondo a spegnere la gioia di quel momento. La prima cosa che ho pensato è stata: ma perché nessuno se ne è accorto prima? Non può essere che in realtà mi trovo davanti a una copia, poi tagliata in due? Allora ho cominciato il confronto con altri esperti. Il primo è stato il nostro editore, Marco Jellinek della Officina Libraria di Milano, lui è venuto in ufficio, gli ho mostrato tutto, è rimasto di sasso e mi ha detto: “Ma come hai fatto a notare quella crocetta?”. In effetti la si vede poco».

Già, come ha fatto a notare quella quasi invisibile crocetta?

«Perché avevo già dei sospetti. Mi rendevo conto che c’era qualcosa di strano in quel dipinto».

Che cosa?

«Per esempio le traverse».

Cioè?

«Di solito le cornici, nella parte posteriore, presentano due traverse, a un terzo e a due terzi dell’altezza, per irrobustirle, per evitare che il legno si deformi. In questo dipinto, invece, non c’erano questi sostegni. Però, si vedeva il segno di una traversa che si trovava in mezzo, si notano ancora le due punte dei chiodi, tagliati. Ma una traversa, a metà intelaiatura, non si metteva. Quindi ho cominciato a pensare che forse quella che avevamo nei nostri depositi e che si pensava fosse solo un dipinto della scuola del Mantegna... in realtà fosse parte di una tela più grande».

Adesso siamo sicuri che si tratti di un’opera originale di Mantegna...

«Sì. Ci siamo confrontati anche con il maggior studioso di Mantegna nel mondo, Christiansen, responsabile dell’arte italiana al Metropolitan Museum di New York. Io gli ho spiegato... lui all’inizio era dubbioso poi, man mano, si è convinto e alla fine era felice della scoperta. Anche un altro esperto di Mantegna, Giovanni Agosti, ha dato la sua approvazione. Adesso pensiamo al restauro, lo farà Delfina Fagnani dello Studio Sesti Restauri di Bergamo. Lo farà “dal vivo” nelle sale dell’Accademia. Vogliamo che sia pronto per dicembre. Il nostro sogno è poter fare una mostra dove il dipinto possa essere presentato nella sua completezza, compresa la parte che attualmente è in mano a un privato».

Lo conoscete?

«No. Il quadro venne venduto all’asta a New York da Sotheby’s nel 2003; ci siamo rivolti a loro, ma per vincoli di riservatezza non possono fornirci i dati del proprietario. Tuttavia sappiamo che questo dipinto verrà esposto in una mostra dedicata ai due cognati, Mantegna e Bellini, che si terrà nei prossimi mesi. Pensiamo che sia possibile stabilire il contatto. Vorremmo organizzare la mostra per la prossima primavera».

Scusi, ma lei, Giovanni Valagussa, “scopritor famoso”, chi è?

«Sono nato 55 anni fa a Milano, sono sposato, ho due figli».

 

[Mantegna Discesa al Limbo]

 

Ma quando è arrivato a Bergamo?

«Nel 2001 vinsi il concorso di conservatore all’Accademia Carrara, voluto dal direttore di allora, Francesco Rossi. Io sono laureato in Lettere, con indirizzo in Storia dell’arte. Arrivai a Bergamo dopo essere stato già conservatore nel museo civico di Cremona, ma non fu una bella esperienza. Mi trovai invece molto bene come conservatore dell’Accademia Tadini di Lovere. Con il professor Rossi organizzammo due belle mostre, quella dedicata a Fra’ Galgario che fece quarantamila visitatori e quella di Cézanne e Renoir che toccò i 120 mila visitatori. Rossi andò in pensione nel 2004. Fu un direttore in gamba, con un carattere non sempre facile, ma molto preparato. Poi la pinacoteca chiuse, nel 2008, per i restauri, e venne riaperta nell’aprile del 2015».

Lei andò in vacanza?

«No, no. Cominciò un periodo molto particolare, molto operoso e i frutti li godiamo oggi. Si programmò una serie di mostre con i capolavori della Carrara, in giro per il mondo. La prima si tenne a Losanna e fu un successo strepitoso. Poi andammo a Caen (Normandia), a Roma, Canberra (Australia), Bruxelles, Mosca, New York, Stoccolma. Questo fu molto utile per la Carrara, per tre ragioni».

Quali?

«Prima di tutto ci fu un ritorno economico, perché quei musei pagavano le nostre mostre. In secondo luogo, questo permise di restaurare diversi dipinti (sempre a spese dei musei ospiti). Terzo: si crearono dei rapporti di conoscenza con i responsabili dei musei che hanno già fruttato importanti collaborazioni. Per esempio, nella mostra su Raffaello avevamo due dipinti provenienti dal museo Pushkin di Mosca e un quadro del Metropolitan Museum di New York. Fu un periodo bello, anche se non facile perché ero spesso lontano da casa. Quando andammo a Mosca, si effettuò la spedizione delle tele con un grande autocarro che arrivò fino al Baltico, poi facemmo due giorni di nave e dal Nord scendemmo a Mosca. Avevamo anche la scorta. Io viaggiavo sul tir con l’autista».

E poi nel 2015 la nuova apertura.

«Sì, ma negli anni di chiusura avevamo cominciato anche a riordinare, sistemare, verificare gli inventari... Infine è arrivato il progetto finanziato dal Rotary di Città Alta: il catalogo completo dei dipinti italiani del Trecento e Quattrocento in possesso della Carrara; si tratta di centodieci schede per un totale di centoventi opere. Io ho realizzato circa metà delle schede: è stato un lavoro fatto con altri colleghi, un’esperienza molto bella: il catalogo verrà presentato e messo in vendita dalla fine di giugno, saranno 440 pagine, edite da Officina Libraria. Proprio questo lavoro, l’esame attento di ogni quadro, uno per uno, mi ha messo in condizione di riscoprire il Mantegna».

Sui depositi della Carrara si favoleggia.

«Sono molto ricchi, è vero, negli anni ci sono state tante donazioni, di cose anche particolari come porcellane, mobili antichi, argenteria. Abbiamo tante stampe di valore, l’intera biblioteca del conte Giacomo Carrara. E poi medaglie importanti... Questo oltre ai dipinti e ai disegni. Abbiamo persino una piccola stele medievale che per tanti anni fu collocata nell’orto del custode».

Quanto è durato il lavoro del catalogo?

«Un anno e mezzo».

Ma è vero che il Mantegna è passato da un valore di trentamila a trenta milioni di euro?

«Pare che sia così».

A lei che percentuale tocca?

Valagussa ride di gusto e saluta, se ne va. Non è stato difficile leggergli il pensiero: ci sono gioie che nessuna somma di denaro può eguagliare.

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