L’uomo che ha sfidato il deserto per capire come cambierà il mondo

Spingersi oltre ogni limite, fisico e mentale, per valutare fino a che punto il nostro organismo ce la fa a tollerare temperature elevatissime, come quelle del deserto iraniano, senza collassare. Una prova cui si è sottoposto Christian Clot, un esploratore franco-svizzero, non soltanto per sfidare la propria resistenza fisica, ma per rispondere a una emergenza "planetaria", perché da qui a qualche decennio, complici i cambiamenti climatici, potremmo avere a che fare con temperature bollenti, tali da rasentare anche i 60°C.




La spedizione desertica. La scelta di Clot è caduta sul deserto iraniano di Dasht-e Lut perché in quel luogo si realizzano condizioni di caldo estremo, oltre l’immaginabile e forse il tollerabile per il corpo e la mente umana, doppiando le temperature dei 30-35°C che già ci fanno boccheggiare. Con quali esiti? Ciò che ha spinto Clot a organizzare una spedizione in solitaria di trenta giorni non è certo stata una sfida personale o la voglia di essere incluso nel Guinness per avere battuto un record, bensì la volontà di fornire informazioni scientificamente utili a un bisogno mondiale, in vista di cambiamenti climatici che porteranno, da qui a poco tempo, enormi cambiamenti sulla salute del pianeta e dell’uomo. Clot non è nuovo a queste imprese: è la terza che l’esploratore attua in zone della terra in cui le condizioni climatiche sono fra le più aspre al mondo.
Caldo e freddo. Gli studi scientifici parlano chiaro, come quello uscito su Nature Climate Change secondo cui entro il prossimo secolo tre persone su quattro dovranno affrontare un caldo "mortale", se le temperature continueranno a salire alla velocità attuale. Con previsioni allarmanti, perché le ondate di caldo non solo saranno più frequenti, ma anche più lunghe a detta degli esperti, colpendo l’uomo con possibili scottature, nelle eventualità più semplici, ma anche con gravi disidratazioni, colpi di calore e addirittura malnutrizione. La ragione sta nel fatto che l’uomo generalmente mal tollera il caldo elevato. Alcuni soggetti, poi, ancora meno di altri, in funzione anche di alcuni fattori particolarmente influenti tra cui l’età, la sudorazione e l’assunzione di farmaci che possono condizionare la capacità dell’organismo di raffreddarsi. Un processo necessario, dicono gli esperti, al pari di quanto fa il radiatore in una macchina per riportare i processi a uno stato normale: pena rischi anche seri e/o letali.
La "prova" di Christian Clot. Clot ha voluto capirne di più sulla sua pelle, perché secondo l’esploratore non era possibile testare gli effetti di estremo calore solo in contesti di laboratorio, quindi pseudo-reali; bisognava invece andare sul campo. Così, durante il suo soggiorno desertico, Clot ha raccolto dati su diversi parametri di sopravvivenza, tra cui la frequenza cardiaca e la temperatura corporea, sottoponendosi a test di verifica riguardanti le capacità mentali, come la lucidità di prendere decisioni o la memoria, osservandone efficienza e rendimento sotto gli influssi del caldo. Una prova ardua, confessa Clot, perché la stanchezza fisica e mentale era così importante e i movimenti e le azioni così rallentate da costringerlo a restare fermo immobile per dodici ore al giorno, riparato da rocce dalle 8 alle 20, perché anche sostare in tenda era pericoloso per via del surriscaldamento istantaneo. Dall’altro lato, però, questa maggiore difficoltà fisica e di movimento imponeva all’esploratore di allertare lo spirito di attenzione, consapevole dei pericoli cui si stava esponendo.
Misure cautelative e preventive. Quelli provati da Clot sono pericoli annunciati, una seria minaccia globale che rende prioritaria l’adozione di misure cautelative e preventive. Anche in funzione di dati già emersi da alcuni studi scientifici, fra cui una ricerca pubblicata sulla rivista Science Advances secondo cui i futuri aumenti attesi delle temperature a livello globale potranno produrre un drastico aumento dei decessi: ogni grado sopra la soglia dei 28,2° aumenterebbe dell’1,8 per cento la mortalità giornaliera, mentre l’ospedalizzazione giornaliera per malattie respiratorie o infettive salirebbe del 4,5 per cento per ogni grado sopra la soglia dei 29°C. Stime che impongono misure preventive per affrontare l'aumento delle temperature al fine di evitare una emergenza climatica e sanitaria molto grave.
Le possibili soluzioni. La prima attenzione, dicono gli esperti, va rivolta ai soggetti più a rischio e più vulnerabili al caldo, come gli anziani, e delle aree più a rischio, prevedendo l'attivazione, in questi contesti, di appositi centri di emergenza, così come l’aumento della fornitura di elettricità quando il caldo diventa incombente. O ancora, rivedendo le ore di lavoro in funzione della calura in caso di occupazioni all’aria aperta, assicurando a questa categoria di lavoratori in particolare anche accesso sufficiente all’acqua e riparo in momenti di estremo calore. Ma molte sono ancora le ipotesi e soluzioni in valutazione.
Le spedizioni future. Intanto Clot non pare ancora soddisfatto delle informazioni ottenute, tanto che ha previsto per il prossimo anno una spedizione nel deserto insieme a un gruppo di dieci donne e dieci uomini per studiare se e come i climi estremi possano influenzare le dinamiche di gruppo, al fine di favorire il migliore adattamento sociale alle condizioni meteorologiche estreme e ad altre sfide ambientali che potranno presentarsi da qui a breve.