L'intervista

Mario Mazzoleni: «Con me Gasperini non sarebbe durato più di venti minuti»

L'ex arbitro di Serie A (oggi gallerista): «Il mister esagera nelle proteste. Ma ha il merito di aver inculcato mentalità vincente a giocatori, pubblico e società»

Mario Mazzoleni: «Con me Gasperini non sarebbe durato più di venti minuti»
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di Bruno Silini

Le elezioni amministrative a Bergamo per le quali Mario Mazzoleni era candidato a sostegno di Andrea Pezzotta non sono state un successo. La Lega ha chiesto all’ex arbitro di Serie A e B, oggi gallerista, di entrare a far parte della squadra del centrodestra e lui ha accettato con entusiasmo, nonostante tutti i suoi impegni lavorativi.

Deluso?

«Vabbè, deluso. Non che mi interessasse più di tanto. Però, certo, pensavo che andasse meglio. Pensavo che a questo giro la destra potesse riprendersi la città. Invece, così non è stato. Non so il motivo. Alla fine Bergamo ha scelto di continuare sulla strada di prima e quindi sono contento per loro, a cui auguro tutto il bene possibile nell’interesse della nostra città. Intendiamoci: si tratta di persone anche valide. Non mi piace parlare male a priori solo per un fatto di contrapposizione politica, anche perché io sono totalmente apolitico non avendo tessere in tasca. Diciamo che è stata una bella parentesi, una cosa simpatica».

Cosa si aspetta dalla giunta Carnevali?

«Se faranno almeno la metà di quello che hanno promesso sarebbe già più che sufficiente. Mi aspetto che portino avanti il lavoro di riqualificazione urbana del centro. Non posso negare che abbiano adottato delle soluzioni esteticamente buone».

Tutti promossi?

«Oddio, ci sono cose meno belle, che ho criticato, tipo la piramide verde in Città Alta o l’installazione con gli stracci in via Tasso, davvero bruttissima. E poi il monumento al Donizetti ridicolizzato con le trovate pop e le paperelle di plastica, secondo me inopportune».

Prima di trasferirsi a Zanica abitava a Colognola, una zona da cartellino rosso per il rumore degli aerei.

«Il problema è insostenibile. Io ho vissuto lì gli ultimi due o tre anni ed effettivamente, soprattutto la sera, c’è un volo dietro l’altro che ti fa tremare i vetri».

Dal calcio all’arte. Due mondi diversi oppure ha riscontrato analogie?

«Ho riscontrato sempre tantissime analogie. Un gol di Del Piero è paragonabile alle pennellate di Salvador Dalì. Entrambi sono mondi che creano grandi emozioni».

Perché arbitro e non calciatore?

«Perché col pallone tra i piedi ero scarso. E poi, per carattere, fin da bambino all’oratorio mi piaceva la figura dell’arbitro che comanda e primeggia. Anche nella mia attuale professione sono un grande accentratore. Tutto deve passare da me. La mia compagna Tatiana mi rimprovera: non so delegare».

L'ex arbitro di serie A e oggi gallerista Mario Mazzoleni
L'ex arbitro di serie A e oggi gallerista Mario Mazzoleni

Aveva un riferimento, come arbitro?

«Senza dubbio Pierluigi Magni. Essendo un amico di mio padre, lo frequentavo spesso. È stato lui a portarmi su quella strada conoscendo la mia grande passione».

E quando non faceva l’arbitro in che ruolo giocava?

«A Coverciano, nelle partitelle tra arbitri, facevo l’attaccante perché è quello che fa meno danni. Se stai davanti alla porta avversaria, qualche palla la butti dentro per forza».

Cosa è una partita di calcio?

«È una sensazione, a livello adrenalinico, bellissima. Arbitrare vuol dire calarsi nella partita. Non puoi viverla in modo asettico. Oggi purtroppo vedo tanti che “amministrano” le sfide».

Arbitrare, amministrare. Che differenza c’è?

«Arbitrare è arbitrare: tu vedi, valuti e fischi. Indipendentemente dai colori. Amministrare vuol dire due fischiate di qui, due fischiate di là. L’amministratore è colui che accontenta tutti. Un bravo arbitro, invece, è quello che non accontenta nessuno».

Quindi, quali doti deve avere un arbitro?

«La personalità. Infatti, critico spesso, anche su Sportitalia, i miei ex colleghi perché difettano di personalità: si tollerano troppe proteste, troppi atteggiamenti sopra le righe».

E il difetto che non deve avere un arbitro qual è?

«Quello di essere accondiscendente. A un arbitro capita di sbagliare e che se ne accorga è innegabile. Ma pensare di sistemare l’errore che ha fatto prima, magari strizzando l’occhio alla squadra avversaria, è un grosso sbaglio. Invece, deve andare avanti per la tua strada, consapevole di avere sbagliato ma senza condizionamenti».

21 gennaio 2006. Una giornataccia?

«Altroché. Me la ricordo ancora quella partita tra Lazio e Cagliari all’Olimpico. Lì i problemi li ho avuti perché ho espulso tre biancocelesti in un momento in cui la Lazio si stava lamentando tantissimo per alcuni errori arbitrali nelle partite precedenti. Però, in quel match, secondo me le tre espulsioni erano sacrosante, perché i giocatori erano nervosi e si erano resi responsabili di tre fallacci. Non sono entrato in campo pensando di “amministrare” gli errori dei miei colleghi precedenti. Non era un problema mio, era più un problema loro».

Quella partita ha segnato la fine della sua carriera?

«Purtroppo c’è stato un conflitto con il mio designatore. Ci fu una causa. Una vicenda che (...)

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Commenti
Diego

Vai a vendere le " croste"... è meglio

Wasted time

Va a ciapa i rac !!!

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