Gran parte della sua storia è un mistero

Dagan, lo storico capo del Mossad

Dagan, lo storico capo del Mossad
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Per molto tempo è stato la spia numero uno al mondo, colui che ha guidato il servizio di intelligence più famoso ed efficace che esista, un uomo che ha custodito i segreti dei dieci anni che hanno cambiato radicalmente il mondo. È morto all’età di 71 anni Meir Dagan, responsabile del Mossad, il servizio segreto israeliano, dal 2002 al 2011. Era talmente bravo nel suo lavoro che il suo mandato è stato rinnovato per ben due volte da premier di opposte posizioni politiche, Ehud Olmert e Benyamin Netanyahu, dopo che Ariel Sharon lo nominò a capo dell’intelligence dello Stato ebraico per la sua capacità di «tagliare le teste agli arabi». Fu lo stesso Netanyahu a cacciarlo dal suo ruolo insieme ad altri generali considerati «schegge impazzite», per via delle diversa posizione su un intervento aereo militare in Iran.

 

 

Oltre 30 anni da militare. Nato in Ucraina nel 1945 e arrivato in Israele nel 1950, divenne paracadutista nel 1963 e per 30 anni servì l’esercito diventando maggiore generale. Meir Dagan fin da quando era giovane camminava appoggiato a un bastone, che rappresentava uno dei ricordi della tante guerre combattute nell’esercito di Tsahal. Ma ultimamente combatteva contro un cancro: si era sottoposto nel 2012 a un trapianto di fegato in un ospedale della Bielorussia e si dice che da qualche tempo fosse in coma.

Le liste di Gaza. Quando, negli anni Settanta Ariel Sharon lo mise a capo delle operazioni condotte da Israele nella Striscia di Gaza, si dice che Dagan avesse una lista di nomi: quelli in rosso appartenevano ai ricercati, quelli in nero ai ricercati pericolosi. Man mano che venivano catturati o uccisi, Dagan spuntava il nome dalla lista: dal luglio al dicembre del 1971 ne vennero uccisi o catturati 750.

Gli omicidi mirati e non solo. Militare tra i più brillanti della sua generazione, Dagan è stato lo storico capo del Mossad. Si è distinto per abilità bellica nella guerra dei Sei Giorni del 1967, quando combattè sul fronte meridionale, mentre in quella del Kippur di 6 anni dopo comandò le unità coinvolte nella traversata di Suez. Negli anni a lui è stata attribuita la paternità degli omicidi mirati contro gli esponenti di Hamas e i libanesi di Hezbollah, tra cui il terribile attentato in cui è morto uno dei fondatori del movimento, Imad Mughniyeh, che era anche tra i terroristi più ricercati al mondo. Ma gran parte del passato di Meir Dagan è ancora argomento off limits, anche in Israele, e molto di quello che ha fatto nella sua vita è protetto da censura e segreto militare. Pare che Dagan fosse coinvolto anche nell’omicidio di Mahmoud al Mabhouh, alto esponente di Hamas legato al traffico d’armi, assassinato misteriosamente a Dubai nel 2010. Gerusalemme ha sempre negato ogni responsabilità in merito, ma all’epoca l’omicidio fece scalpore, soprattutto perché sui passaporti utilizzati a Dubai c’era scritto il nome di sette cittadini israeliani. Il quotidiano Haaretz dopo quel fatto chiese le dimissioni di Dagan, che tuttavia non arrivarono mai.

 

 

Mossad con licenza di uccidere. Sotto Dagan, il Mossad tornò a ruggire dopo un periodo di relativa calma e diplomazia. Non a caso potenziò la “kidon”, la squadra di esecutivi del Mossad che si forma prima al campus di Herzliya e successivamente nel deserto del Negev, e che ha la libertà di uccidere. Prima di Dagan a guidare l’intelligence c’era Ephraim Halevy, chiamato anche uomo cocktail, vista la sua abitudine a chiacchierare con i diplomatici stranieri. Con Dagan il Mossad ricominciò a uccidere. Lo fece con Mughniyeh e lo fece con il generale dell’establishment siriano Mohammed Suleiman, che rappresentava il collegamento della Siria al programma nucleare della Corea del Nord.

La stima apparente di Netanyahu. «Un soldato audace ed un comandante che ha contribuito in modo decisivo alla sicurezza del nostro Paese. Durante gli anni passati alla guida del Mossad ha guidato l’organizzazione in operazioni coraggiose. Con lui muore un grande soldato. Possa la sua memoria essere benedetta». Sono le parole usate da Netanyahu per onorare la memoria di uno tra i militari più famosi della storia di Israele. Nonostante questa apparente stima, però, Dagan non sempre si è allineato sulle posizioni del suo ultimo premier. Dopo essersi congedato, il generale Dagan, contrariamente a quanto ci si sarebbe aspettati visto il suo passato, si oppose strenuamente a un intervento militare di Israele in Iran, scongiurando di fatto un conflitto che avrebbe fatto precipitare in maniera irreversibile non solo il Medio Oriente ma il mondo intero. Definì l’ipotesi della guerra all’Iran «un’idea folle, la cosa più stupida di cui abbia mai sentito parlare». Del resto a un intervento aperto Dagan avrebbe preferito omicidi mirati, molto più in linea con il suo stile d’azione, e sabotaggi diluiti nel tempo contro le strutture indicate dall’Agenzia Internazionale Atomica e dai vari agenti di intelligence di tutto il mondo.

 

 

Iran, nemico numero uno. Perché la minaccia atomica dell’Iran è un argomento su cui Dagan è sempre stato preparato. Si dice che a Teheran quando si verificarono una serie di morti sospette tra gli scienziati addetti alle centrifughe nucleari, apparvero manifesti che chiedevano la sua testa. Ancora una volta la teoria delle liste, come negli anni Settanta a Gaza dunque, che gli valse il soprannome – affibbiatogli dal Newsweek – di «peggior nemico dell’Iran».

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