Mexico, l'ultimo monosala di Milano
Milano, zona Tortona, l’epicentro mondiale della moda. Fra gli showroom del prêt-à-porter e della haute couture, durante il giorno ci si imbatte spesso in giovani e pallide modelle che sgranocchiano una mela tra un casting e l’altro, incerte sulle gambe chilometriche che nemmeno i jeans anonimi e stinti fanno passare inosservate. Alla sera, invece, in queste strade della movida milanese si assiste al rapido avvicendarsi dei locali che, pieni di giovani chiassosi con un cocktail in mano, patiscono spesso le alterne fortune di una tendenza pronta a invertirsi al primo cambio di corrente.
Qui, proseguendo di poco, magari stanchi dei cambiamenti e alla ricerca di un «centro di gravità permanente», ecco che in via Savona 57 ci si imbatte nel cinema Mexico. Le porte dell’ultimo monosala di Milano vengono aperte ogni mattina dell’anno da Antonio Sancassani, indomito proprietario che strappa il Mexico alla chiusura negli anni Settanta, quando le sale incominciano a risentire della concorrenza della più comoda televisione domestica. Osservandone l’ingresso, ci si domanda: questo reperto archeologico del paleocinema, questa piccola sala di periferia del 1914, come ha potuto sopravvivere ai tempi delle multisala, mastodontiche catene commerciali che dominano le logiche distributive del mercato cinematografico?
Innanzitutto, uscendo dal circuito convenzionale, attraverso una programmazione fieramente anticommerciale, che propone opere prime e seconde di registi sconosciuti. Ne è un esempio Il vento fa il suo giro, film di esordio di Giacomo Diritti, ignorato dalla distribuzione per due anni e salvato dall’oblio da Sancassani, che decise proiettarlo nel 2007 (Diritti gli telefonò la sera in cui il suo secondo film, L’uomo che verrà , vinse il primo di tre David di Donatello per dirgli: «Metà di questo David è tuo»).
In secondo luogo, l’incontro fortuito nel 1981 con una pellicola trasgressiva, il Rocky Horror Picture Show, musical diretto da Jim Sharman, che tratta in modo giocoso e in chiave metaforica tematiche esplicitamente sessuali, con l’intento di demistificare le convenzioni di una normalità imposta e di facciata. Nonostante il flop clamoroso al botteghino americano, Sancassani prima lo proietta ininterrottamente per un anno, poi, come la mela sulla testa di Newton, l’intuizione di una nuova modalità di fruizione: allestire sul palco di fronte allo schermo una performance di attori reali che interagisca con il pubblico. Questa idea (la cui prima realizzazione coinvolse l’allora studente della scuola di recitazione del Piccolo Teatro, Claudio Bisio) si dimostrò vincente al punto che sono trentacinque anni che il Rocky Horror riempie la sala del Mexico tutti i venerdì sera. Assistere al Rocky Horror è un’esperienza talmente divertente da valergli il titolo di «una delle cose da fare almeno una volta nella vita a Milano» e una fama intercontinentale (pare che un general manager italoamericano di una catena di cinema statunitense, incontrato in America in occasione di uno show west, saputo che Sancassani era il proprietario del Mexico, «Sure», disse, «the Rocky Horror!»).
Questo piccolo cinema è incredibile: non è insolito incontrarci celebrità e tornare a casa con immagini strane, come quella di Giorgio Armani che mangia un gelato, in coda per il biglietto insieme agli amici. Cose che ormai non sorprendono, poiché il Mexico è un’istituzione della città ufficialmente consacrata dal conferimento dell’Ambrogino d’oro nel 2001. Altri e importanti sono stati i riconoscimenti, comunque: il mese scorso, in occasione dell’ultimo Festival del Cinema di Venezia, Sancassani ha vinto il premio Lizzani – onorificenza creata quest’anno dall’Associazione Nazionale Autori Cinematografici (ANAC) per valorizzare l’attività dell’esercente più coraggioso. In questa cornice prestigiosa, un premio particolarmente azzeccato, una medaglia al valore per il soldato Sancassani che, secondo le sue parole, ha difeso il Mexico «col coltello fra i denti». Ed è rassicurante saperlo sempre alla direzione di uno delle ultime testimonianze del cinema com’era e come a qualcuno piacerebbe che restasse. Siamo tutti tranquilli, ci ha rassicurato: «Finché ci sarò io il Mexico continuerà a fare cinema».