Mia madre dice che siamo fortunati (se solo sapessimo appartenere)

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Il Regno Unito che punta i piedi e lascia l’Europa, i 5 stelle sindaci di Roma e Torino, il Popolo delle Libertà che boccheggia, il PD che si è già dimenticato di come si faccia a entusiasmare le masse, i seggi mezzi vuoti, l’anti-politica, la politica stanca, la gente stanca.

Ma anche: i preti impreparati, i preti spaventati e incerti, quelli che non sono mica sicuri di essere nel posto giusto, anche se è quello che gli è stato dato in missione. Le chiese vuote. Cioè la gente che non prega, che non vuole più ascoltare, che non ha tempo di affidarsi. Forse, non riesce più ad affidarsi. A chi, affidarsi?

E poi, i ragazzi universitari a fare i magazzinieri all’Esselunga, le commesse alla Coop. Ma anche i laureati con contratto facciamo-prima-stage-poi-te-lo-rinnovo-tre-quattro-sei-volte-sei-tre-un-mese-per-volta. Che poi se ne accorgono, che la laurea non serviva a niente, non si riesce più a imbrogliarli. Che facevano meglio a crearsi contatti, a girare il mondo, a fare cose, a vedere gente. O forse no, perché la formazione personale. Forse. Ma comunque, i ragazzi che prendono e vanno via, quelli che dopo un po’ cambiano e aprono un locale vegan in centro, perché «non guadagno niente ma almeno è la mia vita». Quelli che sognano di stare con la valigia sempre appresso, ma poi sarebbe bello anche un po’ sentirsi a casa. Che poi mica si sposano, con quali soldi, con quale prospettiva, con tutto il mondo che mi aspetta, un mutuo sulla casa? Ma anche no. Così, i ragazzi disillusi, inquieti, scontenti. Sempre un po’ scontenti. Sempre un po’ più scontenti.

Uno nessuno centomila, tutti insieme, ciascuno per sé, non apparteniamo più a niente. Non a una prospettiva di vita, non a un’ideologia, non a una chiesa, non a un partito, forse nemmeno alla relazione in cui stiamo. Rivendichiamo, ad ogni passo che facciamo, noi stessi a noi stessi. L’iper-ego tecnologico ed edonistico degli ultimi decenni ha compiuto la sua evoluzione: rende conto soltanto a sé. Nelle aspettative tradite, nelle regole scavalcate, in un magma di valori strano e accogliente e cangiante. Accogliente perché cangiante. Salta così la necessità del mantenere la posizione, la fatica che costa il gesto del restare, del fare radici, dello scegliere, del rinunciare. E diventa un’angosciosa e al tempo stesso superficiale ricerca dello stare semplicemente bene con il proprio io, senza legarlo mai a nulla. Preferenze mutevoli, distaccata fluidità. Società liquida, diceva uno che ci aveva visto lungo. Nella quale le decisioni si riducono all’espressione del tutto momentanea di una posizione interiore e vitale estemporanea. Non la si subisce, momentanea, la si rivendica, momentanea, per poter respirare più leggeri. E la politica, gli exit poll, le previsioni non hanno più niente da ipotizzare: la scelta è imprevedibile, svincolata da.

Adesso mi va bene così, ma tra un attimo non so. Adesso io sono così, ma tra un attimo non posso definire. Ho studiato legge ma farò il barman, ho fatto il catechista fino all’altroieri ma non andrò mai più in chiesa, avevo un fidanzato ma poi ora sto con lei, votavo Berlusconi ma adesso decido di volta in volta. Non mi sposo perché poi è per sempre, non so ancora cosa farò da grande anche se ho 30 anni.

Un relativismo in effetti liberatorio, le caselle che saltano, i ruoli superati, nessuno che sta più nella parte. Il ventaglio spalancato, in ogni istante, delle possibilità. L'emancipazione del post contemporaneo. Si paga il prezzo in smarrimento, naturalmente. Un po’ come trovarsi davanti allo scaffale troppo pieno di un supermarket troppo all’avanguardia, troppo ben fornito. Tutto troppo. E non avere nemmeno una marca preferita.

Mia madre dice che siamo fortunati, ad avere tutta questa possibilità di esercizio del libero arbitrio. Che le nostre nonne, con le loro strade belle dritte, la croce sulla DC, gli indissolubili matrimoni, la dottrina della domenica, la vita dura e semplice, comunque soffrivano. Subivano, ché non avevano diritto di concedere se stesse a se stesse. Mentre esercitavano la fatica alla scelta e alla rinuncia che noi, ogni giorno, come sbandierando una conquista, rifiutiamo. Eppure, appartenevano. E dici niente.

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