Michele, da Stezzano al mondo per aiutare missioni e missionari

Foto dal profilo Facebook di Michele Ferrari.
Dalla notte dei tempi viaggiare rappresenta uno dei grandi desideri dell’uomo. Esistono molte ragioni che ci spingono a metterci in cammino: il desiderio di andare alla scoperta di nuovi luoghi e culture, la ricerca dell’avventura, o semplicemente la volontà di fare nuove esperienze. Nel corso della sua vita Michele Ferrari, quarantenne di Stezzano, ha viaggiato molto e il filo conduttore di tutti i suoi viaggi è stato il desiderio di aiutare il prossimo. Michele, infatti, lavora da quasi dieci anni per il Centro Missionario Diocesano di Bergamo, anche se la sua esperienza in fatto di missioni è iniziata molto prima, con una serie di viaggi in America Latina.
Il primo viaggio in Bolivia. «Stezzano è da sempre molto sensibile riguardo al tema dell’attività missionaria - racconta - e io ho iniziato a interessarmi dopo aver conosciuto un ragazzo che trascorreva parte dell’anno in Bolivia». Così, nel 1998, Michele partì alla volta del paese andino: destinazione Ciudad de los Niños, una comunità d’accoglienza per bambini e ragazzi orfani, fondata dal Patronato San Vincenzo di Bergamo nella città di Cochabamba. Michele, che a quei tempi lavorava per la Pastorale Giovanile e si occupava dell’animazione dei Cre parrocchiali, poté quindi mettere a frutto la sua esperienza con i bambini, alternando attività educative e momenti di gioco e riuscendo a creare con loro un solido legame: «Nonostante avessero alle spalle un passato di sofferenza quei bambini avevano una straordinaria propensione per l’incontro e il dialogo».
Il legame con una nuova terra. Spesso durante i suoi viaggi dalla Bolivia si spostava in Perù, nella zona in cui operava il missionario Santino Brembilla, anch’egli di Stezzano. Qui si organizzavano campi di formazione per gli animatori, che poi venivano inviati nelle parrocchie sparse sul territorio. Nell’arco degli anni (con ben quindici viaggi nella sola Bolivia) Michele ha trovato nel Sud America una seconda casa e ha imparato ad apprezzare sempre di più il suo straordinario popolo: «Spesso chi parte in missione pensa di trovare solo povertà. In realtà l’America Latina offre culture, arti e tradizioni incredibili».
Come sappiamo, inoltre, esiste un rapporto speciale che lega Bergamo a quella terra, in particolare alla Bolivia, come testimoniano i viaggi di numerosi bergamaschi e, al contempo, la forte presenza di boliviani nella nostra città. Michele è entrato in contatto con molti di questi giovani migranti lavorando alla «Fabbrica dei Sogni», un’organizzazione che accoglie numerosi ragazzi stranieri, accompagnando il loro percorso di integrazione. In questo contesto la sua esperienza di missionario gli è stata molto utile: «Grazie al fatto che parlavo il castigliano, con me i ragazzi si aprivano di più, inoltre avevo la fortuna di conoscere molto bene la realtà dei luoghi da cui provenivano».
L'incontro prezioso coi missionari. La missione ha rappresentato per Michele un’occasione unica di arricchimento interiore, grazie all’incontro con i tanti missionari, sacerdoti, suore o laici che fossero, che vivevano in totale connessione con l’opera che portavano avanti: «A colpirmi era l’incredibile coerenza tra quello che dicevano e il modo in cui agivano, facendo del messaggio del Vangelo una pratica di vita. Che poi è ciò che ci esorta a fare papa Francesco, non a caso proveniente dal Sud America». Allo stesso tempo, però, i missionari devono affrontare dei momenti di difficoltà, in questo caso la minaccia più grave è la solitudine: percepire se stessi come estranei e il proprio lavoro non apprezzato.
Il sostegno ai missionari. Per questo motivo oggi Michele si occupa di sostenere attivamente i missionari bergamaschi sparsi in tutto il mondo. «Attualmente il Centro Missionario Diocesano è impegnato in diversi progetti di sostegno a distanza, per la realizzazione di opere di cui i missionari necessitano e che ci richiedono, come la costruzione di pozzi o l’aiuto da prestare alle madri in difficoltà». Inoltre ai giovani della diocesi viene offerta la possibilità di viaggiare e conoscere da vicino la realtà della missione, così da trasmettere poi la propria esperienza ad amici, compagni e famigliari. Perché Michele ricorda quanto sia importante divulgare il messaggio e non lasciare soli i missionari: «Credo che ognuno di noi debba fare qualcosa per gli altri. Dalla mia esperienza posso assicurare che la bontà è contagiosa e che quando fai del bene ricevi sempre qualcosa in cambio». Perché in fondo, come scriveva Bruce Chatwin, «La vera casa dell’uomo è la strada. La vita stessa è un viaggio».