Nembro e tutta Bergamo piangono Gianni Bergamelli, pittore e memoria storica del jazz
La vita la prendeva con beffardo sarcasmo e ironia. Se gli chiedevi: come va Gianni? Ti rispondeva: sono ancora vivo

di Fabio Santini
Gianni Bergamelli, pianista jazz e pittore bergamasco, se n’è andato in un rovente pomeriggio d’estate, ieri (domenica 10 agosto). Aveva 95 anni e sembrava un signore di mezza età, con il suo incedere signorile, il Borsalino calato sul capo con eleganza, lo sguardo attento e vivo, seduto nella piazza centrale di Nembro.
La vita la prendeva con beffardo sarcasmo e ironia. Se gli chiedevi: come va Gianni? Ti rispondeva: sono ancora vivo. E aggiungeva: ma non posso dirlo più. Durante il periodo del Covid usciva a camminare. E quando i vigili gli intimavano di tornare a casa, rispondeva: vado in farmacia. E aggiungeva: non c’è posto più sicuro che camminare per strada. Non c’è in giro nessuno…

La mattina presto si incontrava con il suo amico di sempre Gianluigi Trovesi al Bar Centrale, «dove il cliente ha sempre torto». E via a discorrere di nuove idee, nuovi progetti che coniugassero musica, pittura, parole.
Era la memoria storica dell’epoca d’oro del jazz. Con il suo amico Paolo Arzano, critico de L’Eco, aveva animato il Festival di Bergamo, a quei tempi frequentato dai più eminenti nomi della musica improvvisata. Da giovane aveva suonato con Mina, frequentato le notti roventi del Capolinea di Milano, dove si imbatteva con mostri sacri come McCoy Tyner, Elvin Jones, Gerry Mulligan. E con loro a fare mattina quando i primi tram uscivano dai depositi sferragliando lungo i viali di una Milano ancora assonnata.
Poi la passione per la pittura: quadri surreali, meravigliosi affreschi fatti di colori fantasiosi e ispiratori di immaginarie teorie musicali di una tastiera di pianoforte. La sua Nembro, i vicoli, i cortili, le sue eccellenze, la sua gente operosa e sincera, le passioni, i ricordi condivisi: tutto veniva convogliato nella sua arte pittorica.
Addio Gianni, maestro d’arte. E di vita.