Noi, bergamaschi emigrati in Belgio Ma «chèsto l'è sèmper ol me paìs»

Vivono da decenni a Liegi, ma quando sbarcano in Città Alta dal torpedone è come se facessero un balzo all'indietro nel tempo, tornando in un baleno alla loro infanzia. I bergamaschi in Belgio sono più di cinquecento: l'ondata migratoria iniziò nel Dopoguerra, quando nelle nostre valli e anche in città trovare lavoro era un'impresa, persino più di oggi. Tutti conservano un legame forte con la terra orobica: non solo chi ci ha vissuto, ma anche figli e nipoti. «Ogni domenica chiediamo il risultato dell'Atalanta», sintetizza Malù Daldossi, nata in Belgio da genitori originari proprio di Città Alta. Papà partì in treno per andare a lavorare alla Cockerill, grande industria dell'acciaio che ha dato il pane a tanti bergamaschi, mamma lo raggiunse di lì a poco con i figli. «Appena posso torno qui – racconta Malù mentre si gode la giornata di sole in Colle Aperto – i miei abitavano in via San Lorenzo, è sempre un'emozione passeggiare tra queste vie».
Ad organizzare le periodiche rimpatriate è l'associazione Bergamaschi nel mondo (ne avevamo parlato qui). A Liegi il circolo è stato fondato nel 1970: quest'anno compie 45 anni esatti. Poi nel tempo ne sono nati altri due, uno a Bruxelles e uno a La Luvière. Tra i fondatori c'era anche il vulcanico Gianni Canova, artista e giornalista che ne ha viste e fatte tante. «Mio padre partì per Liegi da Borgo Santa Caterina nel '46, io lo raggiunsi nel 1951 per continuare a studiare. Ho preso il diploma da falegname, ma il mio sogno era fare il cantante. Nel 1980 sono entrato nella radiotelevisione belga, per dieci anni ho condotto la trasmissione Ciao amici. Poi ho iniziato a commentare le immagini della serie A che ci mandava la Rai. Il calcio è sempre stata una passione, abbiamo fondato anche un club Amici dell'Atalanta».
Il Belgio ha dato un futuro a tanti bergamaschi, ma il passato non è sempre stato semplice. «All'inizio è stata davvero dura. I belgi ci guardavano con diffidenza e la lingua ha rappresentato un grosso ostacolo – ricorda Laura Marcassoli, partita a 15 anni nel 1953 per fare la pasticciera – Mamma non voleva lasciare Nembro, il nostro paese, ma non avevamo scelta. Da noi a quei tempi se patìa la fam, non c'era lavoro. Una volta ambientati, tutto però è andato per il meglio. Mi sono sposata con Giovanni, un veronese: doveva restare in Belgio poco tempo, ma mi ha conosciuta e non è più partito. Lassù si sta bene, ma non abbiamo mai interrotto i contatti con Bergamo. Chèsto l'è sèmper ol me paìs». La signora Laura è rimasta talmente attaccata alle origini da diventare vicepresidente del circolo di Liegi, dopo aver contribuito ad aprirlo.
Mentre i ricordi scorrono, lo sguardo fugge attorno, posandosi sulla bellezza di Città Alta. «Usiamo anche Internet – spiega Canova – ma il computer non può restituire la magia che si vive tornando in questi luoghi». Ogni scusa è buona per tornare, persino lo shopping. «Da quando c'è Ryanair tutto è cambiato – spiegano i belgorobici - Bergamo è molto più vicina. C'è chi parte al mattino per venire a far spese all'Oriocenter, per poi tornare alla sera». Malù scuote la testa e sorride: «A me un giorno non basta di sicuro, e nemmeno due. Perché non c'è solo Città Alta da vedere. Ogni volta devo fare un salto sul lago d'Endine, non si scappa. Un posto magnifico, di cui mi sono innamorata».