E se felicità fosse disconnettersi?
Oggi è la giornata della felicità. Lo ha decretato l’Onu alcuni anni fa:
« L'Assemblea generale [...] consapevole che la ricerca della felicità è un scopo fondamentale dell'umanità, [...] riconoscendo inoltre il bisogno di un approccio più inclusivo, equo ed equilibrato alla crescita economica che promuova lo sviluppo sostenibile, l'eradicazione della povertà, la felicità e il benessere di tutte le persone, decide di proclamare il 20 marzo la Giornata Internazionale della Felicità, invita tutti gli stati membri, le organizzazioni del sistema delle Nazioni Unite, e altri organismi internazionali e regionali, così come la società civile, incluse le organizzazioni non governative e i singoli individui, a celebrare la ricorrenza della Giornata Internazionale della Felicità in maniera appropriata, anche attraverso attività educative di crescita della consapevolezza pubblica [...] » [Assemblea generale delle Nazioni Unite, Risoluzione A/RES/66/281]
Cosa fanno le Nazioni unite per promuovere la felicità? hanno fatto un sito: questo.
E cosa raccomanda questo sito, per essere felici? di connettersi (to get involved) con altri (with other people). Come disse il meraviglioso Savoldelli quando il Giro entrò in provincia di Bergamo: a óter, cioè a voi (altri).
Qual è il contrario della felicità, sempre secondo le Nazioni Unite? L’isolamento. Recita infatti il sito: Farsi i fatti propri (Social isolation) è una causa di morte precoce (is as potent a cause of early death) esattamente come il fumo (as smoking); la diffusione della solitudine (the epidemic of loneliness) è responsabile del doppio di decessi rispetto all’obesità (is twice as deadly as obesity).
Dunque: volete essere felici? state insieme agli altri (per esempio: iscrivetevi all’Isis, candidatevi al cartello di Medellin, fatevi iniziare alla ‘drangheta), fumate poco e cercate di dimagrire. Altrimenti morite prima degli altri. Che per alcuni potrebbe essere un buona cosa; per l’Onu sembra di no.
Ultima raccomandazione: non cercate di essere felici: limitatevi a «celebrare la ricorrenza della Giornata Internazionale della Felicità in maniera appropriata». (to observe the International Day of Happiness in an appropriate manner). E questo perché? Perché la felicità potrebbe essere un vero business (the pursuit of happiness is serious business. Secretary-General Ban Ki-moon).
Sappiamo di aver forzato appena appena il senso della dichiarazione. Ban Ki-moon intendeva dire che il raggiungimento della felicità è uno degli impegni più seri delle Nazioni Unite. La sua dichiarazione continua infatti: Happiness for the entire human family is one of the main goals of the United Nations (la felicità per l’intera famiglia umana è uno degli scopi, degli obiettivi principali della Nazioni Unite). Le quali NU, nel sito di cui sopra, invitano pertanto ciascuno di noi - dunque, compreso chi scrive - a connettersi, in quanto il giorno della felicità è (aridàje!) «A Day to Connect».
Caso mai uno non lo avesse capito gli viene sussurrato: WE NEED YOUR HELP TO MAKE THE WORLD A HAPPIER AND MORE CONNECTED PLACE. (Abbiamo bisogno del tuo aiuto per fare del mondo un posto più felice e più connesso). E aggiungono: Per il Giorno Internazionale della Felicità chiediamo a ciascuno di tendere la mano e stabilire nuove connessioni (For the International Day of Happiness we are asking everyone to reach out and make new connections). Seguono le indicazioni per la connessione (Here’s how you can get involved).
Si può cliccare in diversi punti per diventare Happiness Activists (attivisti della felicità) e unirsi a coloro che già stanno facendo qualcosa in diverse città del mondo “from Washington DC to London and Milan”.
E questo già ci secca un po’, perché vuol dire che l’Onu ci sta spiando: altrimenti non saprebbe che stiamo leggendo da Milano. E dunque, per la Giornata della Felicità, io - una volta get involved - scriverei: che l’Onu la piantasse di spiarci tutti, che saremmo tutti più felici. Dopo di che aggiungerei: e per favore cominciate a pensare che essere felici non comporta di necessità sorridere (smail), e men che meno sorridere in maniera (pardon) idiota. Ho chiesto pardon, ma fa parte della felicità anche poter dire che una cosa idiota è idiota, non vi pare? Anche lo sberleffo fa parte del corredo dell’uomo (o della donna) felice.
Oppure: fa parte della happiness poter passare del tempo senza necessariamente to get involved: per esempio trascorrendo due giorni su un ghiacciaio o su una barca in mezzo al mare senza che nessuno voglia essere involved con me. E dunque: che l’Onu, per favore, si dia da fare per consentirmi di andare a Socotra o all’interno dell’Omam senza paura di essere preso da qualche talebano di passaggio che vuol essere involved con me solo per chiedere il riscatto ai miei parenti. Oppure vieti per un giorno agli altoparlanti delle seggiovie, cabinovie, ecc. di continuare a impestare l’aria di musichette insulse perché c’è ancora qualcuno che ama il silenzio fra sé e il cielo blu.
Ma in fondo non mi azzardo a chiedere nemmeno questo. Mi basterebbe che il palazzo di vetro prendesse in seria considerazione un pensiero tra i più profondi di Woody Allen («Ringrazio Dio di non avermi fatto nascere donna. Avrei passato tutto il giorno a toccarmi le tette!») e diramasse un’ordinanza che permettesse ad ogni uomo - per qualche minuto, e solo il 20 marzo - di dar luogo all’ iniziativa in oggetto senza esser preso per un maniaco sessuale o maschilista incallito. Anche le donne potrebbero ricavarne motivo di esserne contente.
La felicità - ha scritto anni fa Charles Schultz, il padre dei Peanuts - è un cucciolo caldo. Sì. Magari ce ne sono anche altre. E le Nazioni Unite, oltre a chi ha scritto la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti, dovrebbe rendersene conto. Prima lo fa, prima saremo tutti (noi, People of the World) felici e contenti.