Di Trezzo sull'Adda

Omar, il karateka che non piange

Omar, il karateka che non piange
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Le famiglie felici: «Di solito facciamo una macchinata. Io e mio fratello seduti dietro, mamma davanti, papà guida. L’andata la passo ascoltando musica, rap americano. Dà la carica. Concentrazione. Al ritorno si discute della gara, di cosa si poteva fare meglio e di cosa invece è andato bene». Ma niente gite di piacere, da Trezzo sull’Adda si parte sempre per vincere.

Elettricista, manutentore e... karateka. Faccia d’angelo, cuore tenero, a 19 anni Omar è la promessa bergamasca dell’arte marziale per eccellenza. Già campione del mondo nel 2015, a Maribor, più gli anni passano e più il karate diventa il perno attorno a cui ruota il mondo di Omar. «Ho fatto il Patronato. Elettricista. Però volevo continuare e prendere il diploma di cinque anni. Mi sono iscritto al Pesenti, corso di manutentore. Va bene, l’elettronica mi piace. Ma la grande passione è il karate. Minimo due ore di allenamento al giorno, a volte anche quattro con il potenziamento. Il sogno è l’Olimpiade, ma per Tokyo ormai boh. Finire in un gruppo sportivo dell’esercito sarebbe importante, vediamo in futuro».

 

Omar Pedruzzi, con la felpa azzurra della Nazionale.

 

Una passione nata presto. La vocazione di Omar è cominciata presto. Mamma Antonella - ah, lei è una coach che sa il fatto suo - lo portava in palestra che era alto così. Omar era la mascotte. Appena nato gli regalarono un kimono e una cintura nera con su scritto il nome. Omar: un destino già scritto. «L’emozione di Maribor non la scorderò mai. Diventare il primo al mondo è una sensazione che non so spiegare. Prima della gara mi chiedevano se ero teso. Rispondevo: “No, voglio solo vincere”. La medaglia la tengo su una mensola col resto dei trofei. Mi interessa il titolo, e aver fatto una buona gara».

Si divide a metà tra la palestra di Trezzo con il maestro Giovanni Vimercati (Ass. Karate Trezzo) e la palestra di Cologno al Serio con il maestro Alfredo Defendi (Taikyoku): «Vimercati mi ha tirato su, c’è molta confidenza: mi ha visto crescere. Con Defendi qualche volta c’è soggezione». Da quattro anni Omar insegna ai ragazzini che cos’è l’arte marziale, che cos’è il karate. «Provo a trasmettere tutto quello che ho appreso e che apprendo ancora. Sono un bravo motivatore, lo dice anche mamma. È perché so cosa vuol dire. Serve equilibrio tra motivazione e tecnica, altrimenti non va bene. Ogni volta che entro in palestra chiedo: “Di che palestra sei?”. “Trezzo”, rispondono. È un modo per creare consapevolezza e far capire che siamo una squadra. Un bravo maestro deve saperlo fare». Omar lo fa anche con il fratello Thomas, 15 anni, stessa cameretta: «Quando non fa il permaloso (ride, ndr) gli spiego la tecnica. Il mio idolo è Luca Valdesi. Non l’ho mai incontrato, fa parte della Fijlkam, un’altra federazione. Ma il web è pieno di filmati suoi e spesso me li riguardo su YouTube».

 

La vittoria ai mondiali di Maribor. Foto Karate Trezzo

 

«Omar, dai il massimo». Aveva provato nuoto («non mi piaceva») e kickboxing («non ho continuato»), ma poi l’attrazione magnetica per il karate è stata irresistibile. «Niente sacrifici, solo scelte. Se una gara non va devi solo impegnarti di più. Ci vuole costanza, dedizione. Non devi demoralizzarti. So cosa significa perdere. Una volta a un campionato italiano io e un altro avevamo lo stesso punteggio. C’erano gli Europei a Londra, ci è toccato lo spareggio per decidere chi ci sarebbe andato. Alla fine ci è andato lui. Non ho pianto. Non ho mai pianto per una gara. Mi sono solo allenato un po’ di più. Quando poi l’ho rincontrato mi sono preso la rivincita. Mi piace affrontare gente forte, che dia stimoli. La competizione è tutto, altrimenti che ci vai a fare?».

«Poco tempo fa ho fatto i conti con un infortunio. Il dolore non mi fa paura. So che sport faccio. È non potermi allenare che mi pesa. La Nazionale è un orgoglio - continua Omar -, la senti addosso. A Maribor, per esempio, mi ricordo la sfilata con le bandiere, l’inno. Tutto bellissimo. Siamo rimasti quattro giorni. Viaggiare per il karate è bello e più la trasferta è lunga e più mi piace. Ma l’unica cosa che riesco a vedere sono le palestre. Ho la fortuna di avere due genitori che non pressano. Dicono solo: “Omar, dai il massimo”. Anche papà Giuseppe andava sul tatami, si è fermato alla cintura blu. È lui che ci porta alle gare, e ovviamente fa anche il fotografo ufficiale della famiglia. Il karate ci unisce ancora di più».

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