«Non è difficile organizzarlo qui»

Il pachistano di 26 anni espulso che parlava di un attentato a Orio

Il pachistano di 26 anni espulso che parlava di un attentato a Orio
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Faceva il magazziniere notturno al Decatlon di Basiano, in provincia di Milano, ma secondo gli investigatori sognava di morire gridando Allah Akbar mentre compiva una strage. Ogni obiettivo era buono per la sua mente, ossessionata dalla guerra in Siria e dagli attentati jihadisti che insanguinano l’Europa. Nella seconda metà dello scorso anno, era passato davanti all’aeroporto di Orio e indicando gli aerei oltre la recinzione ai due amici che erano in macchina con lui aveva detto: «Vedete, se uno vuole, non è difficile organizzare un attentato qui, c’è un filo solo». Parole inquietanti, ma parole. A Capodanno era passato davanti a un’enoteca di Vaprio, paese dove viveva in un appartamento in affitto, e aveva espresso la voglia di farla saltare «con una bomba» o di compiere una carneficina «a colpi di kalashnikov, così la gente poi ha paura». Una risposta «giusta», diceva, contro «chi ammazza musulmani». Ancora parole folli, intenzioni malvage, che però cominciavano a diventare troppe e preoccupanti.

Farooq Aftab, il pachistano di 26 anni espulso con un provvedimento del ministro degli Interni Angelino Alfano per motivi di sicurezza e rimpatriato lunedì 1 agosto su un aereo diretto a Islamabad, non sapeva di essere tenuto da tempo sotto osservazione dalla Direzione distrettuale antimafia e dai carabinieri del Ros di Milano. E più passavano i mesi, più le intercettazioni e le indagini registravano che quelle idee fanatiche avrebbero potuto  prendere corpo: le opinioni politiche e religiose del giovane immigrato si stavano radicalizzando sempre di più e in testa pare avesse un chiodo fisso: «La jihad è la cosa più importante di tutte. Gli europei devono avere paura», ripeteva. Di Farooq si era già parlato qualche tempo addietro perché Sportweek nel 2009 gli aveva dedicato un servizio quando giocava per la nazionale italiana di cricket. Per un periodo era stato anche il capitano della nazionale under 19. Secondo quanto ha scritto il Corriere della Sera fino a una decina di mesi fa il giovane pachistano sembrava condurre una vita normale. Verso la metà del 2015, attraverso internet, aveva però cominciato ad avvicinarsi all’estremismo islamista, anche se non sembra che avesse legami con gruppi criminali.

 

Bergamo, aeroporto di Orio, punto di arrivo, punto di partenza (@lianabonaiti)

 

Alla fine del 2015 si alza il livello di guardia: Aftab manifesta comportamenti violenti nei confronti della moglie che viene picchiata perché si rifiuta di indossare il burka. Viene inoltre sottoposta a reiterati inviti a seguirlo nei suoi propositi: «Facciamo un attentato in Europa. Andiamo a cercare dei militari. Uccidiamo 2-4 persone ed è finita la storia». A quel punto scatta l’allarme e i magistrati milanesi Maurizio Romanelli e Pietro Basilone si tengono informati col colonnello Paolo Storoni, capo degli investigatori. A preoccupare è quel misto di fanatismo e isolamento che fa di quel giovane un potenziale «lupo solitario». I propositi di farla pagare ai "crociati" si ripetono: Il 25 marzo, fine della Settimana Santa,  mentre passeggia per il paese si imbatte in una folla di fedeli fuori dalla chiesa. «Miscredenti – li apostrofa -, siete tutti scemi». Intercettazioni e microspie lo tengono sotto controllo. Ed emerge che mentre è solo nel suo appartamento, a voce alta, in arabo, pronuncia un auto-giuramento di fedeltà al califfo Al Baghdadi. In più occasioni, poi, dice di  voler andare in Siria o in Bosnia, dove si sarebbe addestrato al jihad. Le sue ricerche online di materiali jihadisti confermerebbero questa volontà. Secondo Alfano, Farooq avrebbe anche manifestato «in un ristretto contesto» l'intenzione di compiere un attentato in Italia una volta ottenuta la cittadinanza. E, in caso di rifiuto, di reagire con violenza, prima uccidendo diverse persone e poi suicidandosi. A un connazionale che aveva ritirato i documenti in questura o in prefettura aveva chiesto come funzionavano il metal detector e i controlli della polizia e se si poteva entrare con cose di gomma. Pare parlasse di una bomba di gomma.

 

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I carabinieri del Ros registrano anche contatti con un albanese espulso dall’Italia alcuni mesi prima, Ibrahimi Bledar, che abitava a Pozzo d’Adda, un elemento che porta a Maria Giulia Sergio, la trentenne di Inzago convertita all’Islam e convolata a nozze nella moschea di Treviglio. Sembra che i due non si fossero mai incontrati, ma negli ultimi mesi si erano scambiati informazioni e messaggi sul jihad e sullo Stato Islamico. Nella casa non è però stato trovato niente che potesse far pensare che Farooq stesse pianificazione un attentato.

Quello che si sa è le pressioni di Aftab sulla moglie per convincerla a partecipare al Jihab si facevano sempre più forti: «Io ti insegno a guidare la macchina - le dice in un'intercettazione - così vai a uccidere gli sciiti in Iraq. E se non riesci ad ammazzare degli sciiti, uccidi dei militari. Tu staresti con i kafir, ti piacciono gli infedeli bisogna fare la jihad, è la cosa più importante. I musulmani stanno morendo. Bisogna partire, io sono pronto a lasciare anche i parenti». In un’altra conversazione le spiega come fabbricare una bomba: «Non occorrono cose speciali, al centro commerciale trovi tutto», riferendosi ai fertilizzanti utilizzati nella fabbricazione di ordigni artigianali. Negli ultimi due mesi, secondo gli inquirenti, Farook cercava proseliti anche italiani e aveva agganciato un ragazzo a cui raccomandava di non dire alla madre che seguiva alla lettera il Ramadan.

Nel timore che un giorno o l'altro dalle parole passasse all'azione gli investigatori sono intervenuti. È stato lo stesso ministro Alfano a rendere nota l'espulsione, ricordando che sono salite a 104 le persone espulse dal 2015 ad oggi. «Dopo una serie di indagini da parte dei carabinieri - ha detto il ministro - abbiamo accertato la sua adesione all'ideologia estremista e il suo inserimento in un circuito di utenti web dediti all'apologia dello Stato Islamico e delle sue attività terroristiche. Noi siamo un paese che conosce i principi dell'accoglienza per chi fugge da guerre e persecuzioni - ha aggiunto Alfano - ma siamo un Paese che fa rispettare le proprie leggi e le proprie regole e chi non le rispetta o si dimostra ostile alla nostre tradizioni, lo espelliamo». Sembra che gli investigatori si stiano concentrando su una presunta rete attorno a Farooq che non è ancora stata svelata.

Farook era arrivato nel nostro Paese nel 2003 e aveva provato a ottenere la cittadinanza italiana. La richiesta era stata respinta la scorsa primavera. «Non mi sono convertito al Califfato. Non sono mai andato sui siti degli estremisti. Sono un musulmano, ma non un terrorista, tutti mi conoscono come una persona disponibile», ha detto prima di essere cacciato dal nostro Paese. Il padre di Aftab, Mohammad Farooq, che vive nel nostro Paese da 19 anni, lunedì ha chiesto un incontro al sindaco di Vaprio d’Adda, Andrea Beretta, al quale ha detto di essere assolutamente convinto dell’innocenza del suo terzogenito e che nessuna delle accuse che gli sono state mosse sono veritiere. Il sindaco ha anche sostenuto che la famiglia Farooq a Fara non ha mai dato alcun problema.

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