Ha chiuso la campagna elettorale di Tsipras

Perché "Bella ciao" è diventato un canto di libertà nel mondo

Perché "Bella ciao" è diventato un canto di libertà nel mondo
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Dagli Appennini tosco-emiliani alle piazze di Parigi, in risposta ai barbari colpi di kalashnikov al cuore della libertà d’espressione occidentale; dalle risaie piemontesi al convegno finale del nuovo premier greco, Alexis Tsipras; da canto dei partigiani a sogno di libertà delle combattenti curde a Kobane. Ne ha fatta di strada Bella ciao, quel lamento popolare italiano che tutti conoscono, ma che pochi possono ancora inneggiare senza essere additati di partigianeria politica. Perché nel nostro Paese quelle strofe eroiche sono state oramai marchiate a fuoco con la simbologia del comunismo: Bella ciao, nel creder popolare, non è altro che una canzone “rossa”. E non è un caso che a Sanremo, per i 150 dell’Unità d’Italia, se si voleva suonare Bella ciao si sarebbe dovuto intonare anche Giovinezza, per par condicio. Al fantomatico inno comunista si contrapponeva il dichiarato canto fascista. Naturalmente non se ne fece niente.

Ma mentre in Italia Bella ciao resta rinchiusa in una prigionia politica di poco senso (basta leggere il testo per capirlo: è un canto di resistenza, non di credo come invece Fischia il vento o L’Internazionale), è all’estero, in tutto il mondo anzi, che queste sonorità baltiche in lingua nostrana hanno conquistato i cuori. La versione del gruppo folk emiliano Modena City Ramblers è risuonata in piazza ad Atene venerdì, in occasione della chiusura del convegno di Syriza per le elezioni presidenziali che hanno poi incoronato proprio Alexis Tsipras. È stata la scintilla che ha riportato alle nostre menti una canzone spesso ideologizzata. È pur vero che in Grecia ha trionfato la sinistra, ma è altrettanto vero che Bella Ciao è stata intonata non come manifesto, ma come risposta all'austerità imposta dalla Troika. E che come canto di resistenza è risuonata in piazze che col comunismo non hanno nulla a che fare.

 

 

Tra storia e leggenda. Come per ogni elemento epico della storia, anche la paternità e la nascita di Bella ciao sono ancora oggi argomento di discussione e divisione. Non v’è certezza, infatti, su quale siano le sue origini. Secondo qualcuno, la prima versione incisa di questa melodia risale al 1919, a New York: una versione Yiddish che sarebbe poi stata portata in Europa. Al riguardo, però, non esistono prove, che invece esistono circa i canti delle mondine degli Appennini tosco-emiliani e delle campagne piemontesi dei primi del ‘900: è stata proprio una mondina, tal Giovanna, a riportare la prima versione ufficiale di Bella ciao, il canto delle mondine. Un testo diverso da quello che oggi conosciamo, ma molto simile e con sonorità quasi identiche, seppur più lente. Più che un inno alla libertà era un lamento dolce di donne che andavano a spaccarsi la schiena per portare a casa qualcosa da mangiare.

« Alla mattina appena alzata, o bella ciao, bella ciao
Bella ciao ciao ciao, alla mattina appena alzata,
devo andare a lavorar..!

A lavorare laggiù in risaia, o bella ciao, bella ciao
Bella ciao ciao ciao! A lavorare laggiù in risaia
Sotto il sol che picchia giù! » 

Durante gli anni della Resistenza, invece, nacque la versione di Bella ciao che tutti noi, oggi, conosciamo. Identitaria, leggera, dolcemente malinconica nelle immagini offerte dal testo. Nessun riferimento politico, nessun richiamo ai pugni chiusi o alle bandiere rosse. Solo un canto alla libertà di una popolazione, invasa e tenuta sotto la morsa di una dittatura in cui nessuno più si riconosceva.

«Una mattina mi son svegliato,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
Una mattina mi son svegliato
e ho trovato l'invasor.


O partigiano, portami via,
o bella, ciao! bella, ciao! bella, ciao, ciao, ciao!
O partigiano, portami via,
ché mi sento di morir»

Era il 1964 quando Vasco Scansani, partigiano emiliano e figlio di mondina, scrisse una lettera pubblica per dire al mondo che quel testo era suo. La Bella ciao che l’Italia aveva imparato era la sua Bella ciao. La melodia, però, era precedente e resta un mistero da dove provenga.

 

 

La diffusione. La prima volta che Bella ciao varcò i confini italiani fu nel 1947, durante il Primo Festival mondiale della gioventù democratica che si tenne a Praga: alcuni giovani partigiani emiliani parteciparono alla rassegna “Canzoni Mondiali per la Gioventù e per la Pace” intonando proprio le note di Bella ciao. Fu un successo incredibile. Anche nelle rassegne successive, che si tennero a Berlino o a Vienna, il canto fu ripresentato, conquistando sempre più estimatori. In tanti decisero di tradurla, lasciando però invariato quel “bella ciao” che così bene suonava nella nostra lingua. La massima diffusione la si raggiunse negli anni Sessanta, soprattutto durante le manifestazioni operaie e studentesche del ’68. Era il canto della ribellione, della libertà, della democrazia che colpiva al cuore la tirannia. Sempre in quegli anni ci furono le prime incisioni di noti cantanti italiani. In televisione la intonò per la prima volta Gaber, nel 1963, ma la registrò solamente nel 1967. Le primissime versioni incise sono invece da attribuire a Sandra Mantovani, Fausto Amodei e Yves Montand, francese di origine toscana. Toccò poi a Milva, Claudio Villa e, nel 1994, ai Modena City Ramblers, la cui versione, con sonorità decisamente più folk è oggi una della più apprezzate.

 

 

La vera forza della sua diffusione oltre confine, però, fu il fatto che non venne mai legata ad una fazione politica, come invece accaduto in Italia, dove è stata addirittura bandita dalla festività del 25 aprile perché ritenuta canzone solamente comunista. All’estero, invece, è unanimemente riconosciuta come un canto di libertà. E lo dimostra l’escalation mondiale avuta negli ultimi quattro anni: nel 2011 la cantarono i manifestanti di Occupy Wall Street, a New York; nel 2012, invece, François Hollande la scelse per chiudere la propria campagna elettorale contro Sarkozy; poi il ritorno agli albori, nel 2013, quando a Istanbul i manifestanti contro il premier Erdogan la intonarono in piazza Taksim. E così è accaduto e accade anche in Siria, a Kobane, dove le combattenti curde intonano la melodia contro il dominio del Califfato, o a Hong Kong, quando durante la rivoluzione degli ombrelli contro Pechino migliaia di giovani la cantarono. Ed è anche la canzone contro il terrore, come ha dimostrato Christophe Alévêque, che l’ha cantata ai funerali dei vignettisti di Charlie Hebdo, Charb e Tignous. Fino a diventare, come detto, inno delle forze politiche anti-austerità greche.

I motivi di tanto successo. Come ha spiegato a La Repubblica la cantautrice, musicista e ricercatrice etnomusicale Giovanna Marini, sono due i motivi per cui Bella ciao ha ottenuto un così grande successo. Innanzitutto perché è bella. Niente di più, niente di meno. È un bel canto, dalle sonorità semplici ma coinvolgenti, dalle parole ritmate facilmente memorizzabili e ripetibili. Il suo percorso storico, unito alla sua bellezza, l’ha reso un canto di forte appeal verso popolazioni anche lontane.

Il secondo motivo è che è una canzone molto espressiva. Sia la musica che le parole passano un messaggio emozionalmente intenso, seppur senza eccessivo peso. È un canto globale perché eroico ed epico, senza nazionalità quindi, come tutta l’epica e tutti gli eroismi. Ogni resistenza richiama questi valori, che avvenga in Italia, in Siria o in Palestina. Bella ciao non ha patria né bandiera. Chissà che questa diffusione nel mondo non ci aiuti a riappropriarci di un canto che fa parte della nostra storia e della nostra identità.

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