di Bruno Silini
Piergiorgio Caprioli si considera un sindacalista molto anomalo fondamentalmente per due aspetti. Il primo riguarda il suo mandato di segretario generale della Fim nazionale assunto nel 1999 senza aver mai ricoperto incarichi di comando negli stati inferiori.
E questa è un’anomalia?
«La stragrande maggioranza dei sindacalisti che si accollano ruoli dirigenziali vengono dalla fabbrica, diventano delegati, poi operatori, poi segretari provinciali e via di questo passo. Fanno la classica gavetta. Nel mio caso, con una laurea in tasca in Scienze politiche, ho cominciato subito a occuparmi di formazione proprio alla Cisl di Bergamo».
Il fatto di essere arrivato al vertice della Fim per una strada anomala, senza gavetta, le ha creato delle invidie?
«Le invidie non mancano, come del resto in tutte le organizzazioni. Ma non ci ho mai fatto molto caso».
E lei ha mai provato invidia?
«Sì, soprattutto quando non ero favorevole alla promozione di alcuni dirigenti. Ma facevo buon viso a cattivo gioco quando constatavo che la stragrande maggioranza optava per quelle promozioni».
Il secondo aspetto del suo essere un sindacalista anomalo qual è?
«Intervenivo pochissimo nelle vertenze aziendali. Lasciavo fare ai miei collaboratori. Mi concentravo piuttosto sul contratto nazionale. Nella storia della Fim credo di avere il record di contratti firmati: cinque in nove anni. Si trattava di ritmi serrati rispetto a oggi, che il contratto si rinnova ogni tre anni invece di due. È stata un’esperienza intensa, segnata da grandi responsabilità e anche da molte notti insonni».
Qual è il suo concetto di leadership?
«Dare autonomia e fiducia alle persone, sia ai collaboratori diretti, sia alle strutture territoriali. Le racconto un episodio emblematico: alcuni dirigenti napoletani vennero da me chiedendo di intervenire per sostituire il loro segretario generale. Dissi loro: “L’avete eletto voi, quindi ve lo tenete”. Volevo far capire che la responsabilità non si delega sempre verso l’alto».
Il suo ingresso nel sindacato è stata più una scelta o più un caso?
«Entrambe le cose. Sentendo mie le aspirazioni di giustizia sociale che animavano le grandi manifestazioni operaie, il mio sogno era di entrare nella Fim poiché era un sindacato in linea con le mie letture e la mia passione per l’economia. Ma era soltanto un’aspirazione segreta. Fatto sta che dopo aver ottenuto la laurea vinsi una borsa di studio della Camera di Commercio di Bergamo per partecipare a un corso di nove mesi a Reggio Emilia che preparava futuri dirigenti delle società commerciali. Lì conobbi Pippo Morelli, allora segretario regionale della Cisl dell’Emilia Romagna. Disse che ero portato per fare la formazione e che a Bergamo stavano cercando un tipo come me. Fu così che entrai nel sindacato senza passare dalla fabbrica, per le “simpatie” di un dirigente famoso per aver aperto le porte a tanti giovani non democristiani».
E lei democristiano non è mai stato?
No, sono un uomo di sinistra.
La laurea a un sindacalista serve?
«Diciamo che un sindacato che non vuole impoverirsi (…)