Il 29 giugno è la loro festa

A proposito di Pietro e Paolo (auguri a chi porta i loro nomi)

A proposito di Pietro e Paolo (auguri a chi porta i loro nomi)
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Il 29 giugno è la festa dei santi Pietro e Paolo. Due che più diversi di così si muore. Cominciamo col secondo, che nelle immagini appare generalmente calvo e contraddistinto dalla spada. Non perché fosse noto per saperla maneggiare con maestria, ma per alludere a un passo della sua lettera agli Ebrei in cui scrive che «la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore. Non vi è creatura che possa nascondersi». Pietro invece è quello barbuto, coi capelli folti e ricci, che tiene in mano le chiavi, perché ha il potere di aprire e di chiudere la porta del paradiso. L’altro, il calvo, è poi la vittima assolutamente innocente di un fraintendimento che ha fatto la fortuna di migliaia di pittori convinti, come se gliel’avesse detto lui stesso, che la famosa conversione sulla via di Damasco fosse avvenuta in concomitanza con una caduta da cavallo. Invece non c’è traccia alcuna dell’animale nel racconto biblico, e d’altro canto gli ebrei come lui si spostavano abitualmente a piedi. Però ci abbiamo almeno guadagnato delle opere stupende, come la tela del Caravaggio in Santa Maria del Popolo a Roma. Paolo cadde a terra perché rimase accecato da una luce eccessiva. Pietro, al contrario, non si sarebbe mai mosso da Gerusalemme se non per recarsi a Roma, dove fu imprigionato e crocefisso - secondo la tradizione - a testa in giù (vedi l’altra importante tela del Caravaggio, di fronte alla precedente nella cappella Cerasi della chiesa appena nominata). Però anche di questo fatto non esiste un resoconto preciso: ci dobbiamo fidare di testimonianze molto autorevoli, certo, ma non tali da entrare nel testo sacro. In realtà non sappiamo né se sia stato crocefisso, né tanto meno se lo sia stato nel modo che tutti ci figuriamo. Di certo c’è solo che le sue ossa sono conservate sotto l’altare centrale della basilica che porta il suo nome perché fu eretta appunto in suo onore.   pt-pl-e1403612906885   I due si conobbero piuttosto tardi, cioè dopo la Resurrezione di Cristo a Gerusalemme. Pietro era infatti socio di una importante cooperativa di pesca della città di Cafarnao, crocevia di importanti strade verso il nord e verso l’interno della Siria, trovandosi collocata, strategicamente, nel punto più settentrionale del Lago di Tiberiade - come lo chiamiamo oggi; mare di Galilea al tempo in cui Gesù decise di prendervi dimora proveniente dalla periferica Nazareth. Era uno che si buttava, Simone poi detto Cefa, cioè Pietra. Nella parte finale del racconto di Giovanni si incontra una vicenda significativa da questo punto di vista. Dopo una notte di pesca deludente gli uomini della barca si sentono chiamare dalla riva (ci sono ancora gli anelli originali dell’attracco fissati alla roccia). Giovanni grida subito: È il Signore! Pietro invece, ”cum audisset quia Dominus est, tunicam succinxit se, erat enim nudus, et misit se in mare”, sentito che il Signore era lì, si tirò addosso la tunica - perché era nudo - e si gettò in acqua. Dunque pescavano nudi a quel tempo. Come si vede anche in alcuni mosaici romani.

Anche al sepolcro era andata allo stesso modo: Pietro e Giovanni, avvisati dalle donne, stanno correndo. Il secondo, più giovane, arriva prima, ma è l’altro a entrare per vedere cosa ne era stato del corpo del crocifisso. Il testo lo dice espressamente: [quello giovane] venit primus ad monumentum [il sepolcro]; et cum se inclinasset [piegata la testa sotto l’arco], videt posita linteamina, non tamen introivit [ma non entrò]. Venit ergo et Simon Petrus sequens eum [dopo di lui arrivò anche Simon Pietro] et introivit in monumentum [e lui sì che entrò dentro]; et videt linteamina posita. “Linteamenta” sono le bende, appoggiate da una parte.

È bello pensare a Pietro come a uno che non calcola mai, che si tuffa nelle situazioni. In effetti questa nudità radicale lo vede protagonista anche di un altro episodio, narrato ancora da Giovanni, accaduto nel corso dell’ultima cena. Giovanni, si sa, non riporta l’istituzione della Eucarestia come la raccontano gli altri tre e come viene celebrata nel corso della Messa. Racconta invece - ed è l’unico a farlo - il momento della lavanda dei piedi. Ad un certo punto della cena Gesù si alza da tavola, si spoglia (ponit vestimenta sua) e preso un telo (“linteum”, come il “linteamina” che conosciamo) se lo passa intorno ai fianchi. Dopo di che, versata dell’acqua in un catino, comincia a lavare i piedi a tutti. Compreso Pietro che in un primo tempo si schermisce, per eccesso di scrupolo, non accettando che il suo Signore si comporti come un servo, e nudo per di più. Poi si sa come andò. E dunque Pietro era così: impulsivo, innamorato di Cristo. Magari un po’ rozzo, ma meraviglioso.   pt-pl1  Paolo no. Non c’era quando succedevano le cose narrate nei vangeli. O forse c’era, ma nessuno se n’era accorto perché stava dalla parte sbagliata. Stava con l’establishment. Qualcuno ha addirittura pensato che fosse un collaboratore dei Servizi. Fra l’altro non era nemmeno di Gerusalemme o di Cafarnao perché era nato (probabilmente) a Tarso, fuori dei confini della Palestina vera e propria.
A un certo punto della sua storia - narrata negli Atti degli Apostoli - se ne vien fuori mostrando un certificato di cittadinanza romana che non si sa bene come fosse capitato nelle sue mani, forse per eredità. Di certo c’è che con quel lasciapassare riuscì a tenere a bada la polizia di Roma per un certo tempo, anche se alla fine fu decapitato. Non si hanno certezze sulla data dell’esecuzione e nemmeno sul luogo. A dire il vero neanche sulla forma, però la pena prevista per cittadini romani colpevoli di empietà nei confronti dell’imperatore era la decapitazione, da eseguirsi fuori dal perimetro della città, e siccome esiste da sempre a Roma una basilica di San Paolo detta Fuori delle mura, è probabile che quello sia il luogo dove la sentenza venne eseguita. La memoria della Chiesa non mente mai e comunque difficilmente si sbaglia.
Anni fa, in una specie di enciclopedia universale in forma ridotta, il filosofo inglese Bertrand Russell, un ateo, dedicò all’apostolo un capitolo molto interessante intitolato: Paolo, l’inventore del Cristianesimo. Non il fondatore, perché questo titolo si addice esclusivamente a Cristo - nel quale il filosofo non credeva -, ma inventore perché è incontestabile il fatto che l’infaticabile viaggiatore che ne portò l’annuncio in tutte le città importanti del bacino del Mediterraneo riuscì a tradurne il messaggio in termini comprensibili ai Greci e ai Romani, che allora detenevano le chiavi del commercio e della politica dalla Siria fino in Spagna. E in effetti il lavoro di Paolo - la rete che contribuì a tessere fra le varie comunità, le sue lettere - fu davvero immenso e decisivo per le sorti dell’umanità intera. Anche personaggi che per storia e ideologia non hanno nulla a che vedere col cristianesimo lo considerano un personaggio di prima grandezza nel panorama del pensiero mondiale. E dire che furono in tanti, al suo tempo, a ridere di quel che raccontava di Cristo. Perfino ad Atene, la Harvard dell’epoca. Ma di lui celebriamo ancora la festa. Degli altri nessuno ha più saputo niente.   statue

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