Inutili le pressioni internazionali

Reyhaneh, uccisa due volte

Reyhaneh, uccisa due volte
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Il web si era mobilitato per lei, così come gli attivisti per i diritti umani di tutto il mondo. È stato tutto inutile: Reyhaneh Jabbari è stata impiccata questa mattina in Iran, in una prigione di Teheran. Era accusata di aver ucciso l’uomo che aveva tentato di stuprarla.

La sua condanna a morte, per impiccagione, è stata decretata nel 2009, al termine di un’indagine e di un processo definiti da Amnesty International «profondamente viziati». Dopo alcuni rinvii chiesti dal giudice per riesaminare il caso, l’ultimo dei quali il 30 settembre scorso, si sperava in un gesto di clemenza, anche in seguito alle forti pressioni di Amnesty International e delle varie associazioni che tutelano i diritti umani. Nei giorni scorsi, però, le autorità hanno invitato la madre ad andarla a trovare in carcere per l’ultima volta. In Iran è una consuetudine che precede le esecuzioni. All’alba di sabato 25 ottobre, Reyhaneh è stata impiccata.

I fatti risalgono al 2007, quando Reyhaneh - che di professione era interior designer - aveva 19 anni. Un ex funzionario dell’intelligence del regime, Morteza Abdolali Sarbandi, con la scusa di dover arredare il suo nuovo ufficio, cercò di stuprarla. Reyhaneh accoltellò l’uomo alle spalle per difendersi, senza però ucciderlo. L’omicidio, secondo la giovane, era stato commesso da un altro uomo presente nella stanza di cui non è mai stata rivelata l’identità. Una versione, quella della legittima difesa, appoggiata anche dal relatore delle Nazioni Unite sui diritti umani, ma che non è mai stata accolta dalla famiglia Sarbandi né dalle autorità.

In carcere, Reyhaneh ha subito ogni sorta di tortura, e per due mesi era stata tenuta in isolamento senza poter vedere l’avvocato e i familiari. Un fatto denunciato anche dalle Nazioni Unite e da Amnesty International, che avevano chiesto per Reyhaneh un nuovo processo, dal momento che la confessione è stata ottenuta sotto pressioni e minacce da parte dei pubblici ministeri iraniani, e che la donna era stata costretta a sostituire il suo avvocato con un collega inesperto. Gli unici a poterla salvare sarebbero stati i famigliari dell’uomo ucciso, che però si sono sempre rifiutati, sostenendo che la giovane aveva comprato un coltello due giorni prima dell’accaduto, premeditando l’omicidio. Per perdonarla, il figlio di Sarbandi chiedeva che Reyhaneh ritrattasse il tentativo di stupro. Sarebbe stato proprio il figlio di Sarbandi a togliere lo sgabello da sotto i piedi di Reyhaneh questa mattina.

La Resistenza Iraniana ha ripetutamente chiesto agli organismi internazionali e a quelli in difesa dei diritti umani di avviare un'azione urgente per salvare la vita di Reyhaneh Jabbari, denunciando come «il misogino regime dei mullah stia tentando di intensificare l'atmosfera di orrore nella società e di terrorizzare le donne e i giovani che non si sono piegati all'oppressione e alla volgarità degli elementi del regime». Per Reyhaneh si erano mobilitati attori e figure di spicco del vivace panorama culturale iraniano, lanciando appelli per fermare l’esecuzione che sono stati raccolti in tutto il mondo. Su Facebook e Twitter a settembre erano partite una serie di campagne online, e le pressioni per un atto di clemenza si erano intensificate nelle ultime settimane, raccogliendo migliaia di adesioni in tutto il mondo.

Alla notizia dell’avvenuta impiccagione, annunciata dalla madre su Facebook con le parole «Mia figlia con la febbre ha ballato sulla forca», sono arrivate prontamente le reazioni internazionali. In primis quella dell’Italia e del governo riunito alla Leopolda dove è stato osservato un minuto di silenzio. Il ministro degli esteri Federica Mogherini ha così commentato: «L'uccisione di Reyhaneh è un dolore profondissimo. Abbiamo sperato tutti che la mobilitazione internazionale potesse salvare la vita di una ragazza che invece è vittima due volte, prima del suo stupratore poi di un sistema che non ha ascoltato i tanti appelli». I ministro ha inoltre osservato che «la difesa dei diritti umani e l'abolizione della pena di morte sono battaglie fondamentali che l'Italia non rinuncerà mai a portare avanti in tutte le sedi».

L’Onu stima che in Iran siano oltre 250 le esecuzioni compiute dall’inizio dell’anno, nell’indifferenza generale. Maryam Rajavi, Presidente eletta della Resistenza Iraniana ha dichiarato, in occasione della Giornata Internazionale contro la Pena di Morte il 10 Ottobre, che dall’inizio della presidenza Rouhani in Iran, ci sono state oltre 1000 esecuzioni. Molti sono prigionieri politici, almeno 27 sono donne e 12 erano minorenni all'epoca del loro arresto. Significa che ogni 8 ore viene impiccato qualcuno. Una situazione, che “tradisce ancora una volta l'illusione di moderazione di questo regime e quelli che lo compiacciono”.

Una presidenza, quella di Rouhani, che è stato dichiarata “moderata”, ma che ha finora compiuto il più alto numero di esecuzioni degli ultimi 25 anni, in nome della fedeltà al Corano sebbene nel Corano pene come la lapidazione non siano mai menzionate. Di questo sistema sono vittime soprattutto le donne. E con il caso Reyheneh la mente corre subito a Sakineh Mohammadi Ashtiani, anche se in quel caso l’epilogo è stato del tutto diverso. La donna, 47 anni e due figli, era stata accusata di adulterio nel 2005 e punita con novantanove frustate; successivamente era stata accusata di avere partecipato con l’amante all’omicidio del marito. Assolta da un primo processo nel 2006, era stata condannata qualche mese più tardi alla lapidazione. In seguito alle pressioni della comunità internazionale, un tribunale iraniano aveva deciso di rinviare l’esecuzione della sentenza, poi aveva fatto sapere che l’esecuzione ci sarebbe stata comunque, ma con un’altra modalità: impiccagione invece di lapidazione. Nel 2010 la pena era stata sospesa e lo scorso marzo viene annunciato che la condanna sarebbe stata amnistiata per buona condotta, che il presidente Rouhani le avrebbe concesso la grazia e che potrà tornare libera tra otto anni. Ma Sakineh ha sempre sostenuto, in seguito a confessioni estorte con la forza, di aver ucciso volontariamente il marito.

Gli arresti, le condanne e i soprusi ai danni delle donne sono frequenti nelle regioni rurali dei paesi di stampo islamico, dove le sentenze vengono spesso emesse solo sulla base di processi sommari e dove l’unica testimonianza che conta è quella degli uomini e dove le donne sono del tutto inconsapevoli dei loro diritti. L’ultimo caso in Siria, nella città di Hama, dove una donna è stata lapidata con l’accusa di adulterio. Il video è stato diffuso dall’Isis, insieme all’appello a tutti i musulmani a non lasciare sole le donne per lungo tempo perché a rischio di istigazione dal diavolo. Tra gli assassini della giovane donna, anche suo padre, che per due volte rifiuta di perdonarla. Poi la costringe a sdraiarsi, le lega una corda in vita e si unisce agli altri lapidatori.

Sempre in Iran, nella regione di Isfahan la scorsa settimana sono state sfregiate 25 donne con l’acido per mano di bande criminali organizzate affiliate al regime. Una di loro è morta, alle altre, che rischiano di perdere la vista, vengono negate le cure. La loro colpa è stata quella di non indossare correttamente l’hijab, il velo che copre il volto.

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