La corsa alla presidenza Usa

Sanders, il socialista controcorrente che sta mettendo in ombra Hillary

Sanders, il socialista controcorrente che sta mettendo in ombra Hillary
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Bernie Sanders è un Senatore degli Stati Uniti, nato a Brooklyn l’8 settembre del 1941. È un candidato Democratico per la presidenza degli Usa che, senza l’esibizionismo (e probabilmente il carisma) mediatico di Donald Trump – in questo momento, secondo i sondaggi, in testa al partito Repubblicano –, sta attirando molta attenzione. Lui si definisce un “democratico socialista”. Secondo i dati della CNN, settimana scorsa 28mila persone sono andate a sentirlo a Portland, in Oregon, e altre 28mila si sono presentate a Los Angeles: numeri impressionanti se si pensa che (a) ai comizi di Hilary Clinton, l’altra candidata del Partito Democratico e presunta favorita per vincere primarie e presidenziali, in così tanti proprio non si palesano e (b) non ha avuto – almeno per il momento – la stessa copertura mediatica dei vari Trump, Clinton, Bush (Job, fratello minore di George), Rubio, ecc. – gli altri candidati in lotta all’interno dei due partiti. Però, per chi in America è appassionato di politica, Bernie non è, per così dire, un personaggio nato ieri.

[Gli altri candidati democratici alla presidenza degli Usa]
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Lincoln Chafee (62)

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Hillary Clinton (67)

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Martin O'Malley (52)

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Jim Webb (69)

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I candidati democratici. In America, la campagna elettorale per le presidenziali è un processo complesso e per molti versi affascinante, che generalmente inizia due anni prima delle elezioni vere e proprie. Le prossime elezioni presidenziali (le 58esime della storia Americana) avranno luogo l’8 novembre del 2016, un martedì. Obama non è più rieleggibile: dopo due mandati violerebbe infatti i termini del 22esimo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, che non permette ad un presidente di essere eletto più di due volte. Prima delle presidenziali ci saranno le primarie, che andranno in onda da febbraio a luglio dell’anno prossimo – il partito Democratico conta cinque candidature principali in questo momento: oltre a quelle di Sanders e della Clinton, le altre tre sono di Lincoln Chafee (ex Governatore del Rhode Island), Martin O'Malley (ex Governatore del Maryland) e Jim Webb (ex Governatore della Virginia).

I candidati repubblicani. Nel partito Repubblicano la questione è decisamente più caotica: sono in 17 i candidati ufficiali per le primarie, anche se i più papabili (secondo i sondaggi) sono 10: due settimane fa questi dieci hanno discusso in tivù in diretta da Cleveland, Ohio, in un dibattito organizzato dall’emittente televisiva Fox News e da Facebook; se siete interessati a saperne di più, Il Post ha tradotto un articolo del Washington Post su chi è andato bene e chi è andato male, quella sera (di dibattiti, comunque, ne mancano ancora a bizzeffe). In questo momento, la luce dei riflettori all’interno del Partito Repubblicano punta dritto su Donald Trump: primo nei sondaggi, il famoso imprenditore di New York è un magnete per l’attenzione pubblica, tanto che un’ironica copertina del New Yorker l’ha recentemente ritratto in procinto di tuffarsi di pancia in una piscina, mentre gli altri candidati di punta fuggono spaventati. L’argomento Trump, comunque, merita un articolo a parte.

Bernie Sanders
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Bernie Sanders
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Due note sulla famiglia e l’infanzia. Torniamo a Bernie. In Senato, Sanders è al suo secondo mandato, dopo essere stato rieletto nel 2012 con il 71 percento dei voti. Prima di andare a Washington, è stato per otto anni sindaco di Burlington, la più grande città del Vermont, che è anche dove vive con sua moglie Jane, i suoi quattro figli e i sette nipoti. Come abbiam detto, Bernie è nato a Brooklyn, New York, figlio di Eli e Dorothy Sanders – suo padre era un immigrato ebreo polacco la cui famiglia fu uccisa durante l’Olocausto, mentre sua madre era nata a New York da genitori ebrei. Bernie frequentò la James Madison High School di Brooklyn, dove, classificandosi terzo, perse le sue prime elezioni per la presidenza del corpo studentesco. Poco dopo il diploma sua madre morì, e dopo un anno passato al Brooklyn College si trasferì a Chicago per continuare l’università.

I primi passi in politica. Siamo all’inizio degli anni Sessanta, precisamente nel gennaio 1962: Bernie, in qualità di funzionario del Congress of Racial Equality (CORE; il congresso per promuovere l’uguaglianza razziale) dell’Università, guidò un’opposizione studentesca nata per protestare contro la segregazione razziale che veniva fatta in alcune case di proprietà dell’Università. Nell’agosto dell’anno successivo, Bernie organizzò un viaggio in bus notturno per portare alcuni attivisti a Washington D.C. (era il suo primo viaggio nella capitale) – lì ascoltò in diretta il famoso discorso «I have a dream»di Martin Luther King. Iniziò la sua carriera politica vera e propria nel 1971, in un partito antiguerra chiamato Liberty Union Party, e cominciò a candidarsi in Vermont per diventare Senatore e/o governatore, ottenendo sempre più voti (2 percento nel 1972, 4 percento nel 1974 – dove chiuse terzo, proprio come alle prime elezioni liceali –, 6 percento nel 1976). Nell’81, candidandosi da indipendente, diventa sindaco di Burlington (verrà rieletto ancora due volte, rimanendo sindaco fino all’89).

 

[Un giovane Bernie Sanders]

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Tutte le decisioni controcorrente. Novembre 1990: Bernie entra nella Camera dei rappresentanti, uno dei due rami del parlamento degli Stati Uniti (l’altro è il Senato, e ci arriveremo): è il primo indipendentista in 40 anni a riuscirci. Nel gennaio del 1991 vota contro la misura proposta dal Presidente George H. W. Bush atta ad autorizzare l’uso della forza militare nella Guerra del Golfo. Al tempo disse: «Ho una reale paura che quella regione non rimarrà più pacifica e stabile di com’è dopo la guerra» – col senno di poi possiamo dire che ci aveva visto lungo. È contrario allo strapotere e allo sfruttamento delle multinazionali: nel novembre del 1993 votò contro il North America Free Trade Agreement (trattato che sancì il libero commercio tra Canada, Usa e Messico), denunciando il fatto che sarebbe diventato più semplice, per le grandi aziende, andare in Messico e sfruttare i lavoratori. Nel 1996 votò contro il Defense of Marriage Act, che negava i diritti matrimoniali alle coppie omossessuali.

S’inimicò le cause farmaceutiche (portando, con un pullman, gruppi di anziani a comprare medicine per il cancro in Canada, ad un decimo del prezzo), la IBM (smontando un piano per tagliare le pensioni) e Wall Street – nel 1999 votò no a un piano atto a deregolamentare il mercato finanziario, prevedendo (ancora una volta) la crisi che da lì a otto anni avrebbe affossato le borse mondiali. Al tempo disse: «Questa legislazione [...] porterà ad un basso numero di corporation che domineranno l’industria dei servizi finanziari e a un ulteriore concentrazione di potere in questo Paese». Parlava d’ineguaglianza quando il tema non andava di moda (oggi, la parola ‘ineguaglianza’ è nel programma di più o meno tutti i candidati); nel 2002 votò contro la guerra in Iraq di George Bush figlio, dando una motivazione molto simile di quella del suo no al Bush padre – la guerra porterà a «più instabilità e terrorismo».

 

 

Un “ribelle” rispettato da tutti. Nel 2006 Sanders è diventato Senatore, battendo l’uomo più ricco del Vermont, Rich Tarrant (personaggio con una vita non meno rocambolesca e curiosa). Dopo l’ingresso in Senato, Bernie è stato approvato e supportato dal Partito Democratico, di cui è entrato a far parte, e negli ultimi anni ha lavorato ad una serie di cose abbastanza rilevanti, tra cui l’Obamacare, il disegno di riforma per regolamentare Wall Street, la lotta contro l’ineguaglianza. Lo scorso 30 aprile, Bernie ha annunciato la candidatura alla Presidenza degli Stati Uniti come successore di Obama. C’è voluto poco prima che la storia delle sue battaglie politiche lo precedesse. I problemi più rilevanti del panorama americano contemporaneo sono problemi contro cui Bernie sta combattendo da mezzo secolo, tanto che le sue denunce e previsioni si sono spesso rivelate vere. Lentamente, oltre a folle da far girare la testa, sta ottenendo il rispetto da tutti – perfino da Trump, uno che generalmente non si pone tanti problemi a screditare gli avversari.

Il suo programma. I punti chiave del suo programma sono otto: ineguaglianza economica e di accesso ai servizi sanitari, buttare fuori i big money dalla politica, creare lavori pagati decentemente, un salario che garantisca lo svolgimento di una vita normale, la giustizia razziale (supporta il movimento Black Lives Matter, nato nel luglio 2013), valori della famiglia liberali, l’attenzione al cambiamento climatico e all’ambiente e la riforma di Wall Street. Su molti argomenti è in sintonia con Papa Francesco, che Bernie rispetta molto, tanto da averlo definito «incredibilmente intelligente e coraggioso». L’America ha iniziato a parlarne, e parecchio. Negli ultimi giorni, dopo i comizi da 30mila persone, sono apparsi articoli come questo del Washington Post, che si chiedono se un socialista abbia davvero la possibilità di diventare presidente. La risposta è ancora tendente al no, ma il fatto che se ne parli con questo interesse è sicuramente un sintomo di qualcosa.

Alcuni dicono che in America stia vincendo il populismo: Trump e Sanders hanno entrambi argomenti molto catchy, cioè che attirano molto allo stesso modo di come attira la bella confezione di un pacchetto di merendine. Però le cose di cui parla Bernie sono davvero importanti, e - chi lo sa - stavolta potrebbe non arrivare terzo.

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