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Sindone, due buone ragioni per andare a vederla a Torino

Sindone, due buone ragioni per andare a vederla a Torino
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La sindone. È o no il lenzuolo nel quale fu avvolto Gesù di Nazareth dopo la morte? Non c’è il cartellino della tintoria, questo no. Però dubitarne è per lo meno bizzarro. Ci fu, anni fa, un francese professore di matematica e fisica e poi magistrato, tale Jean-Baptiste Pérès, che ebbe il suo quarto d’ora di celebrità per aver scritto - nel 1827 - un opuscolo il cui titolo è quasi più lungo del contenuto: Come qualmente Napoleone non sia mai esistito. L’enorme abbaglio. Repertorio per un numero illimitato di errori da correggere nella storia del XIX secolo. Non si trattava di un negazionista. Pérès voleva solo mettere alla berlina le tesi di un altro personaggio, Charles-François Dupuis, facendo vedere che se si fossero applicati alla vicenda dell’Imperatore da poco scomparso i metodi che quello aveva impiegato per negare la storicità di Cristo, lo sconfitto di Waterloo sarebbe risultato inesistente.

 

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La stessa cosa succede quando si ascoltano i discorsi di coloro che cercano di rompere in ogni modo il nesso fra quello strano telo e la vicenda del profeta crocifisso. Qualche sera fa, a Porta a Porta, qualcuno ha addirittura ipotizzato la possibilità di un falso costruito da un abile artigiano medievale con tecniche che sarebbero poi andate perdute. Cioè: non sappiamo come possa essere stata costruita questa enorme bufala, ma non possiamo eliminare del tutto l’ipotesi che qualcuno lo abbia saputo. Certo. Resta da chiedersi come mai un tale dotato di così prodigiosa abilità sia poi scomparso del tutto dalla circolazione. Ma non si può escludere che - per evitare di dover confessare il misfatto - si sia poi suicidato prima bevendo i pigmenti velenosi utilizzati per la creazione del dipinto e strangolandosi poi col resto del tessuto. Anche se - e questo non viene quasi mai fatto presente - l’abilissimo in questione avrebbe dovuto non solo realizzare un falso di dimensioni astronomiche, ma anche realizzarlo nell’esatta qualità di un negativo fotografico.

 

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Successe infatti che nel 1898 il fotografo torinese Secondo Pia venne incaricato di fotografare la Sindone. Era la prima volta che succedeva e la fotografia era allora una tecnica ancor giovane - appena 50 anni - e le immagini venivano realizzate su lastra. Pia scattò alcune foto di prova il 25 maggio e quelle ufficiali tre giorni dopo. A quel tempo - lo diciamo a beneficio dei figli del dio Instagram - le foto dovevano subire due passaggi: lo sviluppo del negativo e la successiva stampa. Ebbene, grazie a questo limite tecnico Pia si trovò a scoprire che l’immagine presente sulla sindone era di per sé un negativo fotografico, con i chiari e gli scuri invertiti rispetto alla realtà. In altre parole, il negativo che vedeva sulla lastra era il positivo dell’immagine fotografata. Ipotizzare che un artigiano medievale arrivasse ad operare tenendo conto di questo fatto ci obbligherebbe a credere che avesse inventato la fotografia analogica e ne avesse poi rifiutato la paternità.

Ci sarebbe anche da aggiungere che, utilizzando le tecniche che permettono di ottenere un’immagine tridimensionale da una piatta, i tecnici riuscirono - in anni più recenti - a trasformare il volto “negativo” impresso sul telo nel suo “positivo” in 3D. Ebbene, questo volto - come pure tutto il resto del corpo - reca le tracce dettagliate dell’insieme dei patimenti inflitti a Gesù di Nazareth così come sono descritti nei vangeli: frustate, corona di spine, chiodi e colpi di lancia. E più si progredisce nelle indagini, più dettagli si scoprono e sempre più coerenti.

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Foto 2 di 4

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Certo, si può ancora immaginare che personaggi medievali perversi, anticlericali furiosi e recidivanti, abbiano preso un poveretto (magari anche solo il suo cadavere) al solo scopo di farne la copia conforme a un ipotetico rabbi proveniente da Nazareth per poi negare tutto anticipando di qualche secolo i tre livornesi che fecero trovare le false teste di Modigliani in un canale della loro città per sbugiardare i critici d’arte. Ma ci pare che nemmeno Reinhold Messner sarebbe capace di un’arrampicata su simili specchi. Dunque possiamo serenamente affermare che la sindone è il lenzuolo utilizzato per coprire il personaggio di cui parlano i vangeli. Che poi costui sia o meno il Figlio di Dio, questo la sindone non potrà mai dircelo con certezza. Una cosa però va al di là di ogni ragionevole dubbio: che chi è uscito da quel lenzuolo lo ha fatto grazie a una scarica elettrica di potenza inaudita, una vera e propria bomba elettrostatica che nemmeno gli israeliani del tempo - a quanto è dato di sapere - erano in grado di produrre.

Esistono anche decine di altre prove scientifiche che consentono di datare il sacro lino all’epoca della crocifissione di Cristo, ma di quelle si parla più spesso. Chi vuole può trovarne una sintesi sul sito del Museo della Sindone e altrove. Perché allora andare a Torino? Per due ragioni: per affezione all’uomo che patì così tanto prima di essere avvolto in quel lenzuolo. Per pregare per quegli uomini colti e intelligenti che perdono il loro tempo ad inventare teorie in grado di negare sia che quei patimenti siano avvenuti, sia, soprattutto, che siano avvenuti per la ragione per cui noi poveri siamo così grati all’uomo che li subì.