Oggi doveva informare il Parlamento

La strana morte del procuratore che accusava Cristina Kirchner

La strana morte del procuratore che accusava Cristina Kirchner
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«Posso uscirne morto da tutto questo»: sono state le ultime parole pubbliche di Alberto Nisman, rilasciate sabato 17 gennaio al quotidiano El Clarìn. Meno di 36 ore dopo, il suo corpo è stato ritrovato senza vita nella vasca da bagno del suo appartamento al tredicesimo piano di una palazzina di Puerto Madero, uno dei barrios di Buenos Aires. Nisman, 51 anni, dal 2004 stava indagando sull’attentato all’Amia della capitale argentina, la mutua ebraica, del 18 luglio 1994, quando persero la vita 85 persone e altre 200 circa rimasero ferite. La settimana scorsa aveva chiuso il fascicolo sul caso, accusando pubblicamente l’attuale presidente Cristina Fernandez de Kirchner e il ministro degli Esteri Hector Timerman di connivenze con gli attentatori. Il corpo è stato ritrovato nel pomeriggio di domenica 18 dalla madre del procuratore. Una guardia di sicurezza di Nisman aveva avvisato la donna del fatto che il procuratore non rispondeva più al telefono. Entrata in casa, l’amara scoperta. Da quanto trapelato dalle fonti investigative, il motivo del decesso sarebbe un colpo di pistola di piccolo calibro alla testa. È stata anche rinvenuta una pistola calibro 22. Parrebbe trattarsi di un suicidio, ma al momento gli inquirenti non azzardano alcuna ipotesi. Viviana Fein, procuratore investita del caso sulla morte del collega, ha dichiarato: «Chiediamo prudenza a tutti. Non possiamo ancora dire se si tratta di un suicidio o meno». Lunedì 19 gennaio, Nisman era atteso in Parlamento per informare gli onorevoli circa le accuse mosse alla presidente e al ministro.

 

 

Le lunghe indagini. Nisman era stato incaricato di riaprire le indagini sul quel tragico attentato nel 2004, per decisione dell’allora presidente Nestor Kirchner, marito proprio di Cristina Fernandez. Non era stata un’indagine facile: erano passati molti anni dalla strage e la sensazione era che ci fossero in gioco nomi di spicco, equilibri difficilmente attaccabili. Negli ultimi mesi del 2014, però, Nisman aveva comunicato di essere vicino alla chiusura delle indagini e proprio settimana scorsa aveva chiuso il fascicolo, accusando pubblicamente l’attuale presidente, il ministro degli Esteri e altri politici argentini di spicco, come Andrés “Cuervo” Larroque e l’ex piquetero Luis D’Elía, di avere negoziato l’impunità di Hezbollah e dell’intelligence iraniana, considerati mandanti ed esecutori dell’attentato, in cambio di favori commerciali con Teheran.

Le ombre su Cristina Fernandez. È indubbio che la posizione della presidente Cristina Fernandez sia, in questo momento, sotto i riflettori. Secondo Nisman, le sue indagini avrebbero portato alla luce che il capo di Stato, con l’aiuto del ministro Hector Timerman, avrebbe raggiunto un accordo con l’Iran: sarebbe stata concessa l’immunità agli agenti segreti di Teheran e agli Hazbollah libanesi coinvolti a vario titoli nella strage del 1994, in cambio di consistenti sconti sulle forniture di petrolio. L’Argentina sta infatti passando una nuova difficilissima fase economica dopo il default dei primi anni del 2000. Ottenere vantaggi economici sul fronte della forniture d’energia era, secondo la Fernandez de Kirchner, un’occasione da non farsi sfuggire. Prova di questi accordi segreti sarebbe il fatto che, dal 2006, i giudici argentini avevano chiesto l’estradizione di 5 iraniani, incluso l’ex presidente Akbar Hashemi Rafsanjani, gli ex ministri della Difesa Ahmad Vahidi e Mohsen Rabbani, l’ex addetto culturale all’ambasciata iraniana a Buenos Aires e di diversi libanesi. Estradizioni che, però, non si erano mai realizzate e su cui il Governo di Buenos Aires non ha mai calcato eccessivamente la mano. Proprio lunedì 19 gennaio, Nisman avrebbe dovuto esporre, alla Camera dei Deputati, un’informativa al riguardo. Per l’occasione aveva chiesto che la seduta si tenesse a porte chiuse, poiché quanto rivelato presentava anche informazioni riservate dei servizi segreti. La Kirchner, invece, aveva chiesto che la seduta fosse trasmessa in diretta tv. Secondo le opposizioni l’obiettivo era evitare che fosse detto tutto.

 

 

Le paure di Nisman. Il procuratore Nisman non nascondeva di aver paura. Oltre alla testimonianza a El Clarìn, in cui dichiarava di sapere di poter anche morire per questa inchiesta, mercoledì scorso, in un’altra intervista, aveva detto: «Da adesso la mia vita cambierà. Ma tutto questo fa parte del mio ruolo di pubblico ministero. Ho parlato con mia figlia e le ho detto che nei prossimi giorni avrebbe sentito cose terribili su di me». Era conscio che l’inchiesta e le sue scoperte lo avrebbero esposto a pressioni e attacchi durissimi. Sempre settimana passata, dopo aver reso note al Paese intero le accuse, aveva dichiarato: «Ci vorrà del tempo, ma so che la mia indagine andrà a buon fine. Mi piacerebbe sbagliarmi, mi piacerebbe che tutto quello che ho scoperto sulle Istituzioni argentine siano errori. Ma non credo». Quel tempo, purtroppo, non gli è stato dato. Le ultime persone che lo hanno sentito, tra cui la giornalista di El Clarìn Natasha Niebieskikwiat, parlano di un uomo stanco ma convinto delle proprie decisioni, pronto a esporre in Parlamento il proprio lavoro. Non un uomo, insomma, che pensava al suicidio. Per questo, forse, anche gli stessi inquirenti oggi preferiscono non escludere altre piste. Si aggiunge un nuovo tragico capitolo ad una storia che sta lasciando dietro sé una scia di sangue senza fine.

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