Un bergamasco racconta Gasperini «Un martello che sa far divertire»

Dietro un grande allenatore c'è sempre un grande... vice, un preparatore atletico, un tattico, un magazziniere, un direttore sportivo. E anche un responsabile della comunicazione. Adesso sta al Mantova, fa il direttore operativo, ma qualche anno fa Matteo Togni, 36 anni, bergamasco, era uno dei collaboratori di Gian Piero Gasperini al Genoa. «Dopo cinque anni all'Albinoleffe, prima da team manager e poi da direttore generale, passai al Genoa. Mi chiamò Bignotti per andare a lavorare lì. Cercavano un responsabile della comunicazione, io pensavo di aver chiuso il percorso all'Albinoleffe e dissi ok, vengo. È lì che ho conosciuto Gasperini». Un anno insieme. Appassionatamente. Un anno che Togni ricorda con affetto: «Gasperini salvò la squadra con qualche giornata d'anticipo, poi ci fu una flessione e alla fine qualche exploit. Un ricordo positivo, che ovviamente mi porto dentro. Compresi tutti quelli legati al mister».
L'impatto con Genova come se lo ricorda?
«Un cambio radicale. L'Albinoleffe è una realtà familiare, per certi versi. Genoa invece è una realtà molto articolata, con logiche differenti, equilibri aziendali sottili, anche molto difficili da gestire, con tante figure e diversi centri di potere, e il presidente Preziosi al di sopra di tutti. Con lui, però, avevo un rapporto sporadico».
Mentre con Gasperini?
«Quell'anno subentrò al posto di Liverani, era il campionato 2013/2014. Il mister è una persona molto complessa nella sua semplicità. Attentissimo ai dettagli, alle relazioni e alle dinamiche interne. Non gli sfugge nulla, è molto bravo. Con lui avevo uno scambio quotidiano».
Che tipo è?
«Un allenatore molto moderno. È maniacale nella cura dei dettagli extrasportivi, in questo senso è davvero avanti ad altri. È un mister attentissimo alle dinamiche della comunicazione, non solo sul campo, e figurati a Genoa: lì l'attenzione mediatica è molto forte, quasi spaventosa».
Non molto diversa dall'Atalanta dunque.
«Simile, è vero. Gasperini osserva molto le sfaccettature dei giocatori, dedica attenzione all'analisi della comunicazione. Fa parte del suo iter lavorativo, ecco tutto. È uno dei motivi per cui lo chiamano Gasperson, un nomignolo coniato sulla scia di Ferguson, perché ha questa capacità di essere un gestore all'inglese. Marketing, comunicazione, social network. Setta ogni cosa all'interno di una logica sportiva».
E con lei come si rapportava?
«C'erano giornate in cui non era facile entrare nel suo ufficio. È uno che legge tutto, anche i blog e le testate minori. Legge le analisi tecnico-tattiche che appaiono sui siti. E quando vede l'incompetenza in chi si atteggia a grande esperto di un lavoro che magari non sa fare, beh, a quel punto si arrabbia molto».
Giornate difficili anche per lei, insomma.
«Bisognava fare tre respiri prima di entrare nel suo ufficio. Del resto, è un po' il vizio di noi italiani essere tutti allenatori, no?».
Ci racconta qualche retroscena?
«Al termine di ogni gara e prima di ogni intervista, analizzavo con Gasperini, su sua richiesta, gli episodi della partita e della moviola. Avevo predisposto un collaboratore, Francesco Alleva (l'attuale portavoce del sindaco di Bergamo, ndr), che vedeva la partita da casa, la registrava e al fischio finale mi mandava un file con tutti i commenti delle azioni delle varie emittenti tv. Gasperini voleva andare a interfacciarsi sapendo anche le virgole, sia l'interpretazione arbitrare che i commenti da studio».
Impresa titanica…
«I cellulari qualche volta andavano in tilt al Ferraris, e a volte capitava che entravo nello spogliatoio e non avevo ancora ricevuto quella mail. Il tempo tra l'analisi e le interviste è poco, cinque minuti appena, e se li perdevi addio. Ho strigliato il collaboratore un paio di volte: "Muoviti con quella mail, il mister mi fa lo shampoo!". E lui: "Ma l'ho già mandata". Era vero. Colpa dei cellulari in tilt».
Invece la settimana di Gasperini com'è?
«Certi giovedì arrivava di gran carriera, entrava negli uffici, e portava tutti in campo per giocare una partitella sette contro sette. Tutti, anche lo staff. E se mancavano le persone prendeva chi gli capitava sotto tiro: il magazziniere, il responsabile del marketing...».
E lei come se la cavava?
«Ero apprezzato per la generosità, devo dire. Anche se poco dotato tecnicamente, dicevo la mia. Mentre nelle serate del biliardo non mi voleva mai nessuno. Chi mi pescava come partner aveva già capito come finiva…».
Insomma, con Gasperini ci si diverte anche.
«È una persona davvero capace e competente, che sa anche coltivare i rapporti. Le persone più vicine a lui, anche noi collaboratori, spesso le invitava ad Arenzano. Ha una bella casa, con uno spazio esterno, lì ha organizzato la festa salvezza. Ma ci portava anche a giocare a biliardo nella sua taverna».
Però passa per essere uno molto rigoroso sul campo, o no?
«È un martello pneumatico. È molto bravo nella gestione, nel rispetto dei ruoli e nel comprendere le personalità dei calciatori. Non fa sconti a nessuno. Se vuole un movimento, se la palla deve muoversi così o cosà, ci lavora finché non ottiene quello che dice lui».
Anche coi ragazzi giovani?
«Negli allenamenti fa partecipare spesso ragazzini, tutti quelli che secondo lui hanno le qualità per andare oltre. Mi viene in mentre Mandragora, per dire, e poi Sturaro, che quell'anno diventò quasi titolare fisso. E Perin, che fece tutte le presenze. Gasperini è uno che guarda al di là del nome».
Che rapporto ha con la gente? Al Genoa è molto amato.
«Molto, sì, perché gli si riconosce una serie di risultati sportivi senza eguali. Ha avuto esperienze meno positive, ma lui è un profeta fuori patria. C'è sempre questo bel parallelo con Ventura, genovese, che ha fatto grandi cose a Torino, e Gasperini, piemontese, che ha raggiunto l'apice del successo a Genova».
È l'uomo giusto per l'Atalanta?
«Magari parlo da tifoso, perché io sono atalantino, ma Bergamo ha questa particolarità: all'inizio di ogni anno si parla di salvezza e poi, quando arriva, si alza un po' l'asticella. Alla fine, però, il sogno è l'Europa. Ma col bel gioco, da raggiungere col gioco. Gasperini è uno di quelli che il gioco non lo lasciano in secondo piano. In quest'ottica direi di sì, è l'uomo giusto, uno che fa bel calcio coi valori della nostra terra: la convinzione, la cattiveria, la voglia di arrivare primi sul pallone. Non è mica poco».