L'intervista

«Vi racconto mio fratello, il Che» Juan Martin Guevara e il mito ribelle

«Vi racconto mio fratello, il Che» Juan Martin Guevara e il mito ribelle
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Nel 2005 fece visita a Bergamo lo scrittore cubano Alberto Granado. Con lui Ernesto «Che» Guevara percorse e raccontò - nel libro Latinoamericana, poi passato al grande schermo ne I diari della motocicletta - «le vene aperte dell’America Latina», come ha scritto Eduardo Galeano. Giovedì 27 (Auditorium di piazza della Libertà, ore 20.30) in città c’è Juan Martin Guevara, il minore dei fratelli di Ernesto, che alla fine degli anni ’50, quando il Che entrava trionfante a La Habana, aveva 15 anni. In Argentina, sotto la dittatura militare, è stato prigioniero politico per quasi dieci anni. Da allora il suo progetto più importante è lo studio del pensiero del Che e la riattualizzazione della sua figura. Ha scritto il libro Mon frère, le Che con la giornalista francese Armelle Vincent. Juan Martin sarà ospite di Al cuore dei conflitti, rassegna cinematografica giunta all’ottava edizione.

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Perché ha deciso di dedicarsi con tanto impegno al pensiero di suo fratello?

La prima cosa da chiarire è che Ernesto è mio fratello e che il «Che» è un mio compagno. L’uno è mio fratello di sangue, l’altro è mio compagno per ideali e per scelte d’azione. Per diverse ragioni, negli anni, ho scelto di non partecipare a incontri, di non parlarne nelle interviste, di non comunicare sulla sua figura. Nel 2009 ho invece cominciato a tenere incontri pubblici, in accordo con gli amici e i compagni che hanno lavorato al mantenimento della memoria del Che in Argentina, come quelli che lavorano al Museo Ernesto Che Guevara Alta Gracia. Da lì ho cominciato a comprendere l'importanza del fatto che qualcuno della famiglia potesse lavorare all’umanizzazione del suo personaggio e a dare contenuti al mito che è diventato.

Poi è arrivata la pubblicazione il libro.

È venuta di conseguenza. Rappresenta un modo per arrivare alle persone. Attualizzare la sua figura è importante perché il suo pensiero continua ad avere significato anche oggi. Perciò serve dare contenuto a quella figura, alla sua immagine diventata mito.

Qual’è il messaggio più attuale che ha lasciato al mondo Ernesto Guevara?

Lui si considerava marxista, ha scritto diversi testi su come contestualizzare Marx negli anni Sessanta. Ciò nonostante si considerava leninista, fece critiche profonde alla politica economica dell'Unione Sovietica. Era contro il dogmatismo e soprattutto era convinto dell’importanza della conoscenza perché i cambiamenti fossero reali e profondi. È questo che possiamo definire il «pensiero guevarista».

Il ricordo più vivido che ha di lui, il più affettuoso e caro?

In famiglia non c’era l'abitudine ad esprimersi affetto fisicamente, lo si faceva attraverso i gesti. Ho diversi ricordi. Le lettere che ci scrivevamo per i compleanni, o le discussioni, per esempio sul fatto che il mate (bevanda tipica argentina, ndr) che io preparavo fosse troppo freddo. Ricordo anche quando mi parlava dei suoi viaggi e delle sue esperienze.

E quali invece le scelte che, secondo lei, sono state sbagliate?

Sarebbe inopportuno da parte mia dare un giudizio sui suoi errori. Direi, come disse Fidel, che Ernesto non valutò correttamente la propria importanza, perché si espose sempre, anche in situazioni in cui rischiava al massimo la vita. Allo stesso tempo era profondamente convinto del fatto che un dirigente deve sempre essere un grande esempio, per questo si espose tanto. Probabilmente in Bolivia fu troppo.

Suo fratello è diventato un mito, un simbolo, e anche un’icona utilizzata per fini commerciali: una sorta di merchandising spontaneo e senza freno. Non è un controsenso?

La sua immagine è certamente abusata e commercializzata. Ma quello che conta è capire per quale ragione viva nel pensiero e nei cuori di tante persone.

Sono state prodotte serie tv di ogni genere, anche di livello, dedicate ai personaggi storici di maggior caratura. Secondo lei una serie sul Che sarebbe plausibile? Se la chiamassero, collaborerebbe al progetto?

Credo di sì, sempre che si tratti di una produzione di qualità e che garantisca fedeltà al suo pensiero e lo approfondisca.

 

La rassegna «Al cuore dei conflitti»

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La larga noche de Francisco Sanctis

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Les Cowboys

L’ospite d’onore, giovedì 27, è Juan Martin Guevara, fratello del Che. Ma Al cuore dei conflitti, la rassegna di Lab 80 film e Fic-Federazione Italiana Cineforum dedicata a storie che arrivano da diverse parti del mondo e che, con film inediti e incontri con i protagonisti, racconta ingiustizie, ribellioni e umanità, è molto altro. La kermesse si svolge dal 25 aprile al 9 maggio all'Auditorium di piazza Libertà. L’apertura, il giorno della Liberazione (ore 21), è con una pellicola a tema: Era notte a Roma di Roberto Rossellini (1960). Mercoledì 26 protagonista è l’Argentina: viene proiettato La larga noche de Francisco Sanctis di Francisco Márquez e Andrea Testa, del 2016, ambientato sotto la dittatura. Il 27 l’incontro con Guevara (20.30) e a seguire il film Che, un hombre nuevo di Tristán Bauer. Venerdì 28 protagonista è il grandissimo fotografo ceco Josef Koudelka, celebre per le immagini scattate ai carri armati russi durante la Primavera di Praga e poi per il suo lavoro nell'agenzia Magnum. In Koudelka fotografa la Terra Santa, del 2015, l'israeliano Gilad Baram racconta i suoi reportage in Palestina, realizzati nell'arco di cinque anni. Sabato 29 Death in Sarajevo di Danis Tanović, già regista di No Man's Land. Martedì 9 maggio si chiude con Les Cowboys del francese Thomas Bidegain, che fa parte del programma di Fare la Pace - Bergamo Festival 2017. Info: www.alcuoredeiconflitti.it.

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