L'intervista

Vita di Beppe Bedolis: negli scatti del fotografo c'è la storia di Bergamo

Ha iniziato con L'Eco nel 1968. Il gol di Haller, Panattoni e Gorbaciov. «In un'Atalanta-Brescia mi presero a cinghiate». L'aggressione in stazione

Vita di Beppe Bedolis: negli scatti del fotografo c'è la storia di Bergamo
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di Paolo Aresi

Beppe Bedolis è la cronaca della città, è la nostra memoria. Beppe ha seguito ogni fatto accaduto a Bergamo dalla fine degli anni Sessanta a oggi, ha fotografato ogni momento speciale con la sua Nikon.

C’era quando hanno liberato Mirko Panattoni, il bimbo rapito cui guardava tutta l’Italia, quando gli estremisti assaltavano la prefettura in via Tasso, in quella fine d’inverno del 1977, quando a Bergamo venne Aldo Moro e quando arrivò Mikhail Gorbaciov, la speranza ammainata dell’ex Unione Sovietica. Quando gli dico che lui ha seguito più di mezzo secolo di storia di Bergamo senza perdere un colpo lui alza le spalle e ride.

Ciampi a Bergamo fotografato da Beppe Bedolis

Hai immortalato sessant’anni di storia di Bergamo.

«Io ho solo scattato un po’ di fotografie. Mi dicevano a L’Eco, vai là che c’è una rapina. Vai là che c’è un omicidio. Io andavo e cercavo di fare delle belle fotografie. Più che belle, volevo che ci fossero i particolari importanti. Come quando vai allo stadio a fare la partita e non riprendi il gol. Puoi fare tutte le fotografie poetiche che vuoi, ma se non fai la foto del gol allora non hai fatto il tuo mestiere».

Tu sei nato nel palazzo Rezzara, nella sede de L’Eco di Bergamo.

«Sì, perché allora c’erano alcuni appartamenti con le famiglie, non solamente uffici. Io sono nato nel 1951, allora il direttore era il mitico don Spada. C’erano Renato e Amanzio Possenti, Zambetti, Ravanelli, Rho... Mio nonno lavorava a L’Eco come tipografo, mio papà venne assunto come fattorino. Mio papà era un orfano di Dossena, allievo del Patronato, di don Bepo Valvassori e don Bepo era legatissimo a don Spada. Mia mamma faceva un po’ la domestica per don Andrea».

Non potevi che lavorare per L’Eco.

«Sì, anche mio fratello ha lavorato per L’Eco, era tipografo».

Che tipo era don Andrea Spada?

«Un grande personaggio, io ero timoroso nell’affrontarlo, mi metteva soggezione. Alla mattina alle otto tornava dalla messa che celebrava dalle suore della Capitanio in via Paglia e spesso la centralinista, la Rachele, mi chiamava, mi diceva che don Spada mi voleva. Io davanti al suo ufficio mi facevo il segno della croce. Aveva sempre da criticarmi. Lui era così, severo e critico. Poi però mi voleva bene. Don Spada voleva bene a tutti i suoi giornalisti, tipografi, fotografi, fattorini... e con tutti era burbero».

Come hai cominciato a fare il fotografo?

«Avevo la passione per la fotografia, mi piaceva girare i filmini in super otto. Finita la terza media, ho fatto due anni di elettrotecnica al Pesenti; poi mia madre disse a don Spada che avrei voluto fare il fotografo. Allora il direttore chiese a Fausto Asperti se mi prendeva come apprendista. Fausto Asperti era il titolare della Foto Express, che lavorava per L’Eco: non poteva dirgli di no. Entrai nello studio a diciassette anni».

Michail Gorbaciov a Bergamo, ritratto da Beppe Bedolis
Mikhail Gorbaciov a Bergamo, ritratto da Beppe Bedolis

Il primo servizio?

«Era domenica 2 febbraio 1969, allora L’Eco non mandava fotografi al seguito dell’Atalanta, ma quella volta mi caricarono sul pullman del Club Amici e mi fecero entrare allo stadio, sul campo, a Torino, per Juventus-Atalanta. Si giocava la prima partita del girone di ritorno; all’andata (...)

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