La vita non si salva urlando

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“La Bella Addormentata” è un film di Marco Bellocchio che Rai 3 ha mandato in onda giovedì sera in prima serata. A tema gli ultimi giorni di Eluana Englaro e la sua morte.

Come in due famose opere di Pieter Bruegel il Vecchio - La Caduta di Icaro e La Conversione di san Paolo - l’avvenimento che motiva il titolo occupa una regione minimale dello spazio. Il quadro - il film - presenta altre storie che si svolgono nello stesso tempo materiale in cui ha luogo il dramma della famiglia Englaro.

Tramite spezzoni di telegiornali si ripercorre l’itinerario parlamentare della legge sull’idratazione, nel corso del quale viene più volte citata la frase di Giovanni Paolo II che chiede ai suoi di lasciarlo tornare alla casa del Padre. Ovviamente i berlusconiani fanno una pessima figura, come i democristiani nei film di Fellini citati in trasparenza. Tornano in scena le dimostrazioni a Lecco e Udine in favore della vita di Eluana, coi cattolici che pregano - da Bellocchio era difficile aspettarsi qualcosa di diverso - in maniera inutilmente ossessiva. Un medico giovane salva la vita - con la sua sola presenza ininterrotta ai piedi del letto - a una tossica che, dopo aver tentato il suicidio tagliandosi le vene, vuole continuamente buttarsi dalla finestra dell’ospedale. Una “suora” - una giovane cattolica impegnata nelle manifestazioni anti eutanasia - finisce a letto con un ragazzo che la pensa allo stesso modo ma ha un fratello - ciclotimico a tratti violento - su posizioni opposte. C’è poi una ragazza nella medesima condizione di Eluana accudita da una madre che si è lasciata succhiare via la vita - e i rapporti col lavoro, il marito e il figlio - dal fatto di voler mantenere in vita la figlia.

Ideologico? Non esattamente. Nel senso che si capisce perfettamente da che parte stanno gli autori del film, compreso il regista. Però, anche qui, la loro posizione non riguarda tanto il problema centrale (si deve o non si deve mantenere in vita una persona in stato vegetativo) quanto un aspetto più vasto e generale della questione, ovvero gli atteggiamenti che si possono assumere di fronte al problema: il cinismo - molto sottolineato - di alcuni medici e di alcuni uomini politici; l’assunzione ideologica della questione - Forza Italia e i cattolici -; il dramma che produce la necessità di dover prendere posizione - di dover scegliere - di fronte a un fatto come quello.

Quel che dà fastidio a Bellocchio non è che i cattolici e Forza Italia abbiano voluto prolungare la vita di Eluana. Non sopporta che lo abbiano fatto senza dramma. In certi casi addirittura per motivi estrinseci.

Anche qui: non è vero che le Misericordine di Lecco e gli altri che portavano fiori e lumini non vivessero un dramma. Ma la percezione che se n’è avuta, al momento, era quella: che fossero troppo sicuri di essere dalla parte giusta per poter affrontare in modo giusto la questione. Se volevano dare una testimonianza di giustizia e di pietà non ci sono riusciti, pare voler dire il film. C’è riuscito, invece, il medico giovane con la drogata: alla quale ha detto che la voleva salvare - curando le sue tendenze autolesionistiche - perché era medico, punto e basta. Ma in realtà la salva perché lei lo percepisce come il primo essere umano che ha a cuore la sua vita, se questo vuol dire la scena in cui - mentre lui si è addormentato - la ragazza si avvicina alla finestra ma poi recede dalla sua intenzione e, prima di tornare a letto, toglie le scarpe al giovane dormiente, come una sua antenata aveva lavato i piedi a ben altro medico. La vita non si salva urlando. Si cura - se si può - stando ai piedi di chi non la sopporta più. Prendendosi cura di lui e impedendogli di disperare di sé. Non male.

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