Vorrei cantare come Biagio Antonacci, ha ammesso Simone Cristicchi. Io, invece, vorrei scrivere come Jean d’Ormesson. Vorrei pensare come Jean d’Ormesson. Vorrei essere Jean d’Ormesson. Di cui sapevo solo, fino a due giorni fa, che era stato il più giovane di sempre ad essere ammesso fra Gli Immortali, ossia all’Accadémie Française, e colui che aveva lottato perché vi fosse ammessa la prima donna, la scrittrice Marguerite Yourcenar. Cristiano cattolico, quindi niente Nobel.
Poi, per un giro di cose, ho letto Comme un chant d’espérance (Il mio canto di speranza, Edizioni Clichy). E sono due giorni che continuo a girare attorno al suo autore leggendo sul web tutto quel che c’è di suo e quel che altri hanno detto di lui.
Stamattina ho ascoltato due interviste su fnac. Sono in francese. Mi è venuto voglia di tradurle per chi non conosce quella lingua. Sono bellissime. Bisognerebbe farle ascoltare a tutti i ragazzi che iniziano il triennio. E anche ai loro professori. Mi è preso il trip di leggere anche gli altri due libri della trilogia: Che cosa strana è il mondo e Un giorno me ne andrò senza aver detto tutto (entrambi pubblicati da Clichy). E poi La Conversazione [dare un’occhiata qui], e poi Histoire du juif errant (Il romanzo dell’ebreo errante), che i lettori premiano con tutte le stelline disponibili, gli elogi più sperticati e coi ringraziamenti all’editore. E poi tutto il resto. Mi è venuta proprio fame.
Non è solo perché nella prima intervista dice che di Flaubert ama soprattutto la Corrispondenza e della corrispondenza gli piace soprattutto il passaggio in cui l’inventore di Madame Bovary manifesta il sogno di poter scrivere sul nulla – intenzione riportata da d’Ormesson nel Canto -. Queste consonanze così segrete fanno sempre un gran piacere a noi poveri.
È per il modo in cui scrive e in cui parla questo novantenne luminoso che ci tiene a far sapere che nel suo libro ha voluto evitare tutte le parole filosofiche, complicate, anche se forse ne ha lasciata una – ossimoro – che ha voluto spiegare immediatamente col sinonimo “contraddizione”, contraddizione interna, come quando si dice che l’uomo è un niente, ma un niente che è tutto.
Parla di Dio e dell’universo – della storia dell’universo – il suo ultimo libro. Ma ne parla in un modo – hanno ragione coloro che ne hanno scritto – che senza tacere il fatto che il suo autore è un cristiano, regala a tutti, anche agli atei, la speranza che ci possa essere un senso per il tutto e per ciascuno che vi trascorra la sua vita.
E mentre continuo a vagare nella rete e a fermarmi qua e là su cose che mi producono un gran rimpianto per non aver incontrato prima questo personaggio stupendo (ma forse se lo avessi incontrato prima non sarei stato pronto a riconoscerlo) mi torna continuamente alla memoria quel che dice Manzoni del cardinal Federigo, che «fu degli uomini rari in qualunque tempo, che abbiano impiegato un ingegno egregio, tutti i mezzi d’una grand’opulenza, tutti i vantaggi d’una condizione privilegiata, un intento continuo, nella ricerca e nell’esercizio del meglio. La sua vita è come un ruscello che, scaturito limpido dalla roccia, senza ristagnare né intorbidarsi mai, in un lungo corso per diversi terreni, va limpido a gettarsi nel fiume».
Sarà anche eccessivo, ma provate a leggere Il mio canto di speranza e poi dite non è vero quel che sto dicendo. Dalla sua ha anche il vantaggio, come ha sottolineato l’autore nell’intervista, di essere breve. Si legge tranquillamente in un paio d’ore. Due ore di delizia, credetemi.