Trovata morta martedì

Paula Cooper, scampata al boia che sognava di fare la cuoca

Paula Cooper, scampata al boia che sognava di fare la cuoca
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La storia di Paula Cooper affonda le proprie radici nel 1986, l’11 luglio per l’esattezza. Mentre le ultime e drammatiche propaggini dei rami dell’albero della sua vita sono terminate martedì scorso, 26 maggio, con un colpo di pistola alla testa che lei stessa ha sparato. Una storia davvero paradossale, oltre che tragica, quella di Paula, che fino a settimana scorsa era l’emblema della battaglia in favore della vita, per poi decidere di porre fine da sola alla propria.

La vicenda di Paula Cooper. Tutto cominciò nell’Indiana, Stati Uniti: la ragazza, insieme a tre amiche, decise di rubare l’automobile dell’insegnante di catechismo, la 78enne Ruth Pelke. Il furto non andò liscio come ci si aspettava, l’anziana professoressa non ci stava a farsi portare via la macchina, e così, più per panico che per reale intenzione, il gruppo di piccole delinquenti uccise la signore Pelke con 33 colpi di coltello. Le ragazze vennero immediatamente identificate ed arrestate, e tre di loro si misero d’accordo per scaricare la colpa dell’intera vicenda su Paula, così da ottenere una pena detentiva e scampare la pena di morte. Cosa che però non riuscì a fare la Cooper, che venne accusata di essere la mente organizzatrice del piano, nonché l’esecutrice materiale del delitto. La sentenza fu immediata, omicidio volontario, e la pena, drammaticamente, pure: condanna a morte sulla sedia elettrica. Le leggi dell’Indiana, infatti, la permettevano a tutti coloro che avessero compiuto almeno 10 anni, e Paula all’epoca era già 15enne.

 

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Le reazioni del mondo. Naturalmente, la notizia fece in fretta il giro del mondo, soprattutto perché non è proprio cosa da tutti i giorni che in un Paese occidentale, e teoricamente il più democratico e attento alle libertà che ci sia, venga condannata a morte una ragazzina di 15 anni. Ebbene, il polverone che si sollevò fu impressionante: fu incalcolabile il numero di associazioni, personalità di spicco e semplici cittadini che urlarono a gran voce clemenza per Paula. La mobilitazione per salvarla fu molto ampia anche in Italia, in particolare su iniziativa del Partito Radicale che diede vita al movimento “Non uccidere”. Su iniziativa di Ivan Novelli, Paolo Pietrosanti e Germano Greganti, vennero raccolte due milioni di firme e portate nel 1988 all’Onu per implorare grazia. Anche l’allora Pontefice, Giovanni Paolo II, fece sentire la propria voce chiedendo il ritiro della condanna a morte. E il Parlamento Europeo produsse una risoluzione appositamente tesa a convincere lo Stato dell’Indiana e la sua Corte di giustizia a far marcia indietro. Ma la voce più incredibile che si levò con forza fu quella di Bill Pelke, nipote dell’anziana uccisa: egli sostenne fin da subito che la nonna non avrebbe mai voluto vedere della ragazzine uccise, e combatté anche lui questa battaglia contro la barbarie della pena di morte.

La conversione della condanna. Gli sforzi profusi da ogni parte del mondo ottennero il risultato sperato: nel 1988, dopo tre anni passati nel braccio della morte, la pena di Paula venne convertita in 60 anni di prigione, e l’Indiana modificò la propria legge marziale, elevando l’età minima da 10 a 16 anni. Paula Cooper scontò dunque la sua pena carceraria, che venne ridotta a 27 anni per buona condotta. Così, nel 2013, quarantatreenne, Paula fu di nuovo libera.

 

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Il suicidio. Gli ultimi due anni hanno visto Paula intensamente impegnata nella lotta alla criminalità giovanile, attraverso un’associazione denominata “Journey of Hope”, in cui collabora anche Bill Belke, che incontra ragazzini finiti nel giro della criminalità, aiutandoli ad uscirne. Paula, confessava, nutriva anche il sogno di diventare cuoca, aprendo un ristorante tutto suo. Una vita, insomma, che pareva essere definitivamente ricominciata, e nella maniera migliore. Fino a martedì 26 maggio 2015, due giorni fa, quando Paula è stata ritrovata nella sua residenza di Indianapolis con un proiettile in testa e la pistola fumante di fianco. Nessuno riesce a dar contro di questo gesto, le motivazioni che hanno portato la donna a decidere di suicidarsi sono, e probabilmente rimarranno, ignote. Massimo Gramellini, su La Stampa di oggi, 29 maggio, ha dedicato il suo quotidiano Buongiorno proprio alla vicenda di Paula, terminando l'articolo scrivendo che «è proprio vero che l’unico vero giudice di ogni essere umano è se stesso». A dire il vero, parrebbe che è proprio quando un essere umano si convince di essere l’unico reale giudice di stesso che rischia di lasciarsi trascinare in un vortice in cui, solo con i propri rimorsi e le proprie colpe, può anche decidere di spararsi alla testa.

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